IL LAVORO DELL’AGRICOLTORE NON È PIÙ SOLO FATICA, È ANCHE TESTA

Storia di Andrea Zanfei
A cura di Nicoletta Masini

Mi chiamo Andrea Zanfei,sono qui da circa 20 anni. Mi trovo qui per amore, ho incontrato Valentina e qui mi sono fermato. Mi occupo del settore commerciale ,e quindi vendo e promuovo il vino e l’olio prodotti da questa fattoria, la fattoria Cerreto Libri di Pontassieve, la villa è della fine del Settecento. La famiglia Libri è di origine toscana, credo di Figline. Il nome indica l’attività della famiglia: dal’ 300 erano copiatori di codici, e poi comunque legati al modo dei libri. Ci fu anche uno scandalo nell’ 800, un componente della famiglia ,insigne studioso incaricato di riordinare una grande biblioteca, fu accusato di furto dei libri stessi. Anche Valentina ha lavorato come grafica editoriale, e sua sorella, ora in pensione, è stata per anni editor in una casa editrice. Valentina ha vissuto qui da bambina , si è allontanata per gli studi e poi è ritornata.

La proprietà è rimasta nelle mani della stessa famiglia fino alla morte del padre di Valentina. La fattoria era un esempio di organizzazione agricola , di origine leopoldina, che dava al territorio una struttura ben definita. Alla morte di mio suocero ci sono stati dei cambiamenti nell’assetto della proprietà legati alla successione ereditaria; spesso si verifica una frammentazione che va a modificare l’armonia dell’insieme. Fino agli anni ’70 questo era come un borghetto: in villa , nel lato destro c’era un piccolo portone che conduceva all’abitazione del fattore, il fatto di avere l’alloggio nella villa ne sottolineava l’autorità. Le case ospitavano diverse famiglie e diverse attività utili alla vita condivisa ; il falegname per esempio, che ha costruito questo tavolo, e c’erano poi svariate abilità necessarie alla manutenzione della casa e degli attrezzi. Il forno, dove si cuoceva il pane per la comunità. Valentina mi ha raccontato che veniva fatto il pane anche per i cani; era prevista la presenza dei cani e dei gatti .La sera facevano bracciate di 4 o 5 gatti che venivano sbatacchiati nel magazzino delle granaglie così che facessero il loro lavoro contro i topi.

Adesso, per il vecchio trattore ancora in uso, ci rivolgiamo ad un’officina vicina che fa miracoli, aggiusta tutto.

La fattoria è costituita di 80 ettari, di cui 15 ad oliveta e 10 forse 11 a vigna; attualmente la vigna è ridimensionata a 5 ettari, l’ oliveta è in fase di divisione. Il resto sono seminativi ,oppure dei tramezzoni dove non succede nulla, poi boschivi. Adesso è stata venduta la villa con annesso orto concluso e ampio terreno intorno, per lo più boschivo. Abbiamo tenuto il giardino ed anche il boschetto circostante. Quando sarà tutto finito ci saranno due strade separate, una che conduce alla villa, e una che conduce alla fattoria. Abbiamo cercato, con grande fatica, un acquirente che fosse rispettoso della struttura e del paesaggio circostante, che non distruggesse l’unità del posto, e l’abbiamo trovato. Avevamo bisogno di liquidità per affrontare le spese della successione. Abbiamo pensato che la villa, dove abitava il babbo di Valentina, fosse la parte che non coinvolgeva direttamente l’assetto della fattoria. Il nuovo proprietario ha fatto delle modifiche interne; sarà conservato anche parte dell’arredo. All’interno della villa era ospitato anche un archivio importante, riguardante soprattutto l’attività economica della fattoria; è denunciato e se ne sta occupando l’Archivio di Stato: ci vengono periodicamente degli archivisti che riordinano i documenti. Sono contenti di trovare informazioni sui movimenti locali, soprattutto finanziari, aiutano a fornire una visione della storia interdisciplinare. 

Prima di dedicarmi totalmente a questa attività, ed anche i primi anni, ho fatto l’insegnante di Storia e Filosofia a Firenze. Il mio lavoro qui è principalmente commerciale, ho cominciato così, il fatto di andare e venire da Firenze…ero l’agente di vendita naturale. Nutrivo comunque un interesse per il settore enologico ed enogastronomico: ho fatto i corsi per sommelier e passavo i week-end andando per trattorie e ristoranti. Credo di aver sviluppato una sensibilità particolare da questo punto di vista. Ho anche lavorato e ancora lavoro in cantina, non nel campo. Dal punto di vista pratico io sono carente, non sono agricoltore, cioè non so mettere le mani da nessuna parte. Sul trattore non ci vado, neanche a potare, mentre invece Valentina sa potare bene. 

Io i lavori strettamente manuali non li faccio, non sono stato abituato a farli, a 66 anni mettersi a zappare all’improvviso, non so… anche se mi dispiace.. .Qualcosa nell’orto posso fare... Io conosco solo teoricamente tutto quel che serve in campagna . Però devo dire che questo tipo particolare di agricoltura fa sì che tu debba controllare tutto quanto, quindi vado a vedere come sta la vigna e cerco, insieme al consulente esterno, di fare continuamente il punto di quello che succede.

Ho imparato a fare il vino e altri lavori difficili in cantina. In cantina c’è anche un po’ di manualità. In cantina la maggior parte del lavoro è vigilare, assaggiare, seguire tutte le trasformazioni del prodotto. Lì mi consulto con un esperto di conduzione biodinamica della vigna; lui come formazione sarebbe enologo, gli hanno insegnato a ‘ battezzare’ il vino , ma non lo fa più...

Per la manodopera in vigna abbiamo un operaio fisso con il quale abbiamo un rapporto quotidiano, per la raccolta dell’uva ci rivolgiamo a quella ottima organizzazione che è WWOOF (world wide opportunities on orgnic farms). Tramite questa organizzazione vengono qui ragazzi da tutto il mondo, che lavorano in cambio di ospitalità; le 4 o5 persone di cui abbiamo bisogno in vigna ,noi le troviamo così. E’ una soluzione molto piacevole ed interessante, facciamo insieme il lavoro ,mangiamo e beviamo, senza che corra denaro. Non tanto per risparmiare, ma è molto meglio, perché è sempre uno scambio interessante. 

All’interno dell’azienda io mi occupo dei rapporti col pubblico, ed anche dello sviluppo delle tematiche legate al tipo di agricoltura che noi portiamo avanti. Penso che bisogna divulgare i progetti di conduzione agricola che ci rappresentano. La cosa più importante è che questo lavoro sia consapevole, sia un lavoro che viene fatto perché ritieni di difendere qualcosa, difatti si dice che l’agricoltore è custode. Lo è a vari livelli e in vario modo : lo è innanzitutto perché coltivando evita che sulla terra avvenga speculazione edilizia, è custode perché se coltiva in un certo modo impedisce uno sfruttamento della terra di tipo industriale, è anche custode quando va i n giro a dire quello che sta facendo, perché è importante che lo si sappia. Il lavoro dell’agricoltore non è più solo fatica, è anche testa. 

Noi qui pratichiamo coltivazione biodinamica dal ’97. E’ successo che i contadini che c’erano qui erano sull’orlo della pensione, se non appena andati in pensione. La vigna era stata data in affitto l’anno precedente e si presentava piuttosto malconcia poiché chi l’aveva presa si era limitato a portar via il prodotto. Per certi versi meglio così: non ci aveva spruzzato cose tremende. A quel punto, quando noi ci trovammo a riprendere la vigna, si presentò l’occasione. Valentina aveva conoscenze teoriche e amici che praticavano agricoltura biodinamica, e da lì arrivò la spinta a riorganizzare la vigna secondo questi criteri fortemente innovativi rispetto alla conduzione precedente. Il padre di Valentina decise di appoggiare questo progetto. Il progetto ha dato frutti straordinari, da subito il vino cambiò. Cioè, prima veniva fatto un buon vino che veniva apprezzato ma venduto solo sfuso, a damigiane, con questa nuova coltivazione siamo passati all’imbottigliamento. Abbiamo avuto successo di pubblico e di critica, ed anche soddisfazione economica. Non si arrivò in fondo all’anno, l’avevamo già finito. Evidentemente il mercato c’era, e l’avevamo individuato. Esiste un mercato specifico, certo bisogna uscire dagli schemi del mercato industriale e soprattutto dal senso di sudditanza, di inferiorità che ti viene dal fatto di essere una piccola azienda. Il Consorzio Chianti Rufina, lo dico apertamente, non ci venne in aiuto nel senso che ci portava ad esibire il nostro vino in luoghi dove contava più l’etichetta e il nome che non la qualità del vino stesso. Cioè tentò una politica di sola immagine e richiamo, che non rappresentava per noi una buona soluzione. 

La mia origine non è toscana. Son nato e cresciuto fino ai 20 anni a Trento, lì i terreni coltivabili prima delle montagne sono di dimensioni ridotte, i problemi derivanti dal clima richiedono più attenzione e più tecnica. Qui la vita è in fondo più facile, e devo dire che pur non avendo fatto studi specifici né l’agricoltore, ho imparato a comprendere ciò che va fatto. Ci si arriva osservando. E’ molto importante osservare com’è il territorio e farsi guidare molto dalla natura. Un aspetto importante della filosofia Steineriana, che sta alla base del metodo biodinamico, è che induce a una riflessione riguardo l’armonia, la geometria e le logiche presenti nella natura. Cioè si comprende che la Natura ha i suoi principi, un suo modo di essere che l’uomo non può pretendere di modificare. Il mito del potere dell’Uomo sulla Natura, figlio di un pensiero più recente soprattutto del 900, è perdente, anche perché la Natura non è nemica dell’uomo; basta solo interpretarla, cercare relazione con essa in base a fini che siano ragionevoli. Se nell’industria si può pensare di produrre sempre di più, anche se ciò intuitivamente è un follia, con la terra questo non è possibile. La terra non può andare oltre un certo limite. Non si può modificarne il profilo oltre una certa misura. Quindi qui è il centro, oggi la partita si gioca qui, sull’interpretazione corretta della Natura. Non è una moda, un atteggiamento, è frutto di ragionamento. Qui si tratta di capire che, come dico sempre, l’osservatorio più alto che esiste in questo momento è la zolla. Si cerca non soltanto di coltivare in un certo modo, ma anche di trainare altri in questa direzione. 

E’ importante convincere il vicino a produrre almeno a campione, in questo modo. Possiamo confrontare il prodotto finale , la vitalità che esso deve contenere. Il prodotto è vivido se è naturale, invece se è industriale si presenta formalmente a posto, ma in realtà privo di vita. E’ come mangiare una mela appena colta dall’albero, un vino fatto secondo questi criteri può avere e trasmettere questa sensazione. Non aggiungendo sostanze che lo facciano diventare una mummia. “Provate a fare una fermentazione senza lieviti, non è impossibile”. I tecnici di cantina hanno cambiato il loro atteggiamento, si sono resi conto che il vino fa quasi tutto da sé. Ne ricordo uno, di questi ‘convertiti’, che non voleva mettere più sostanze di nessun genere, e mi diceva :”secondo me il bravo cantiniere è come la brava massaia. Sa quali sono i tempi di cottura più o meno, poi guarda nella pentola, annusa, riesce a capire cosa deve fare. ”Questo mi sembra utile per capire il punto di vista. 

Bisogna cercare di farsi inquinare il meno possibile dalla impostazione commerciale, dalla visione economica che è quella che guida quasi tutti i comportamenti della nostra società in questo momento. Insieme al vino veicolo anche un’immagine del territorio, che non sia da cartolina, come viene proposto dai grandi produttori. Spesso il territorio è stato asservito alla coltivazione intensiva, cercando di ottenere il massimo spazio possibile per la produzione, le vigne allineate, le colline spianate….questo rompendo evidentemente equilibri di sistema. 

Il problema della diffusione degli ungulati, che oggi sembra preoccupare tutti quanti, perché mangiano effettivamente l’uva, nasce dal fatto che sono stati eliminati gli spazi di residenza di questi ungulati. Cioè colline e boschi abbattuti, modifiche di passaggi, per cui queste bestie non hanno più luoghi dove stare, per cui vanno nelle proprietà e nelle coltivazioni. Inoltre si incontrano più di prima: mentre prima erano stanziali, ora sono diventati erranti, si incontrano più di prima e si moltiplicano più di prima. 

E’ un ragionamento molto semplice; si ritorna al discorso dei limiti imposti dalla natura che produce solo se ci sono determinate condizioni. Il rispetto del territorio è legato alla possibilità che le piccole aziende possano continuare ad andare avanti. Il problema della produzione biologica sono i costi, non tanto di produzione, in quanto se c’è più lavoro manuale non ci sono i costi delle sostanze chimiche, ma quelli legati alla certificazione. Penso che lo Stato deve giustamente controllare la produzione che va a garantire ma, secondo me, non a pagamento. 

C’è lo spazio per un prodotto diverso. Noi abbiamo trovato il nostro mercato mostrandoci, invitando le persone in cantina a vedere quello che succedeva. Il rapporto del cittadino con l’agricoltura mi pare sia fortemente cambiato: c’è più interesse per quello che succede in campagna, a volte pare esserci una specie di invidia per chi vive al contatto con la natura. Però è vero che tutti i segnali vanno in altra direzione, i giovani non sono per niente invitati a rivolgersi alla campagna.

Io credo che bisogna cambiare mentalità. Il mio futuro io lo vedo collegato alla qualità della vita. Una continua ricerca di uno stile di vita che non ti faccia sentire alienato, ma sempre più in contatto con la tua esistenza.





Commenti

Post popolari in questo blog

ANGELA TRA LE REGINE

LA LEGNA È IL MI’ PANE: IL MESTIERE E LA PASSIONE

IL RIBOLLIR DEI TINI