IL RIBOLLIR DEI TINI
Storia di Benedetta Marradi A cura di Virginia Bassilichi
Mi
chiamo Benedetta Marradi e sono nata l'8 gennaio 1981 a Firenze.
Vengo
da una famiglia numerosa. Una vecchia famiglia matriarcale in cui le
donne, forti e energiche, tenevano le fila di tutto. La mia casa
d'infanzia si trova a San Martino, una piccola frazione nel comune di
Rignano sull'Arno. E' una casa in collina, in una stupenda zona
panoramica e abbiamo questa piccola azienda di famiglia che si chiama
"Azienda agricola San Martino di Lucia Mugnai".
La
mia famiglia è andata ad abitare a San Martino alla fine degli anni
'60. I nuclei familiari erano due. C'erano i miei bisnonni e la
sorella della mia bisnonna che tutti abbiamo sempre semplicemente
chiamato "ZiBeppa". Poi sono arrivati il mio nonno e lo
zio. Che anche se era il fratello del nonno io l'ho sempre chiamato
zio. Quando entrambi si sono sposati sono arrivati 4 figli dei miei
zii e una figlia ai miei nonni. Quella figlia era mia madre.
Inizialmente
erano a mezzadria e abitavano la colonica tutti insieme. La colonica
aveva annesso 20 ettari di terreno con uliveti, vigneti e terre
destinate al seminativo. Fino alla fine degli anni '90 c'erano anche
gli animali. Un allevamento di vitelli (ne abbiamo avuti anche 20
nella stalla), i maiali e il pollame. Coltivavano la terra e metà
del loro raccolto, del loro sudore, della loro fatica andava ai
proprietari. Hanno avuto una vita molto dura. Questo lo si sentiva
dai racconti, lo si capiva bene. Però sono riusciti tutti a
trasmettere i valori della terra a noi di casa. A noi delle nuove
generazioni è arrivata tutta la loro passione, il rispetto per la
loro terra. E noi l'abbiamo accolta, l'abbiamo saputa tenere e
l'abbiamo fatta nostra. Per questo anche con le difficoltà di oggi
non molliamo.
Io
mi sento davvero fortunata perché ho vissuto in un contesto
familiare incredibile. Ho potuto conoscere e vivere a stretto
contatto con bisnonni, nonni, zii. Tutti personaggi fantastici,
incredibili. Ricordo i pranzi della domenica. Quando ci trovavamo a
tavola ed eravamo 22 persone. E queste grandi donne che cucinavano
per tutti come se fosse la cosa più naturale del mondo. Con gioia.
Era bellissimo. Quelle tavolate le ricordo con tanta nostalgia.
Erano spettacolari. E durante la vendemmia poi, ancora di più. Mi
piace tantissimo anche adesso, ma da piccola avevo una passione per
quelle giornate. Adoravo la sveglia presto, la colazione e poi quello
"squadrone" pronto al lavoro munito di panieri e carrelli.
E' uno dei pochi momenti in cui guido anch'io il trattore. Tutto
dritto, là nei filari. E a mezzogiorno tutti a tavola, sull'aia. Poi
via di nuovo nella vigna. E le pause sono poche e i tempi li detta il
lavoro, non l'uomo. Ci si riposa quando il carrello è pieno e
qualcuno fa il viaggio alla VICAS per portare l'uva. Ci si riposa lì
quando si aspetta che torni il carrello!
Fin
da piccola ho partecipato attivamente alla vita agricola della mia
famiglia. Ricordo la nonna e la zia, queste donne forti, che oltre a
mandare avanti la colonica lavoravano la terra. Facevano ettari di
orto. Io le seguivo per aiutare, guardare, imparare. Quando
seminavano l'insalata ricordo quelle zappe grandissime e
pesantissime. La loro fatica. Il mio babbo un giorno ne costruì una
piccola apposta per me. Potevo aiutare. Lavorare con loro. Questo
lavoro me lo hanno insegnato loro. E in seguito anche la mia mamma.
Poi c'erano gli animali. Sono ancora oggi la mia passione. Stavo con
loro nella stalla. Li accudivo. E anche se ho sempre mangiato carne
non posso scordare il mio dolore di bambina quando veniva il camion
per portare al macello uno dei nostri vitelli. E rimanevo a guardare
i suoi occhioni tristi che si allontanavano. Quante lacrime ho
versato!
Questi
ricordi mi accompagnano sempre. Danno forza al mio legame affettivo
con la mia famiglia e la mia terra.
Quando
è stato tempo di scuola ho fatto la materna all'asilo di San
Martino. Solo un anno però. Sono la prima di tre fratelli e la mamma
i primi anni voleva tenermi con sé. Poi le elementari a Troghi e le
scuole medie a Rignano. Fatti i compiti veloci mi catapultavo fuori.
C'era sempre qualcosa da fare, qualcuno da aiutare. D'estate poi era
bellissimo. La campagna intorno all'azienda si popolava. Famiglie di
Firenze che scappavano dalla città. E lì era una festa. Eravamo
tanti ragazzi, si facevano picnic, si giocava nel pagliaio e tutti
insieme si partecipava al lavoro agricolo stagionale.
La
stagionalità di questo lavoro ha scandito i tempi della vita della
mia famiglia e anche i miei.
La
semina, la raccolta, la vendemmia, la raccolta delle olive, la
potatura. E che fatica quando ancora non c'erano gli strumenti di
oggi. Ricordo la raccolta del fieno. C'era il trattore con il
carrello e ci volevano almeno tre persone per fare quel lavoro. Una
che guidava il trattore, una persona sul carrello e una a terra con
il forcone. Che fatica! Quanto sudore e che braccia stanche.
Quando
siamo riusciti a comprare il carrello meccanico è stato un bel
sollievo e il lavoro si è snellito molto. Serviva una persona in
meno per esempio e molta meno fatica. Ma a quei tempi era davvero
dura.
Negli
anni '70 poi, dopo che con un mutuo di 30 anni la mia famiglia era
riuscita a comprare la colonica e la terra, naque la nostra azienda
agricola con ragione sociale. Mio zio era il titolare dell'azienda e
vendevamo olio, vino e carne. La burocrazia è, da quel momento,
diventata tanta e davvero noiosa. L'ha sempre gestita la mia mamma ed
è la parte di questo lavoro in cui mi sento meno ferrata.
Dopo
le medie ho scelto di fare il Liceo Scientifico. Tornassi indietro
forse farei un'altra scelta. Forse una scuola come le magistrali
visto che crescendo ho sviluppato questa passione per i bambini. E
poi il Liceo era un po' un ambiente particolare. Ero in classe con
figli di dottori, di avvocati. Non che il lavoro della mia famiglia
fosse una discriminante ma a volte è capitato che mi sentissi a
disagio. C'era una grande distanza sociale. Ricordo le mie compagne
di scuola che strillavano come matte, quando venivano da me a
studiare, di fronte a paperi e tacchini. E le loro acrobazie per
scansare le cacche sull'aia. Mi facevano anche un po' ridere. E poi
ricordo tornare a scuola dopo le vacanze. I racconti. Io non ci sono
mai andata molto in vacanza, al mare. La terra non si può lasciare.
E io ero felice così.
Alla
fine comunque mi sono diplomata nel 2001 e dal diploma sono stata
ferma tre anni. Insomma non mi sono iscritta subito all'università
ma ho cercato lavoro. L'ho cercato fuori dalla nostra azienda. Avevo
20 anni e avevo tutta una serie di esigenze legate a un guadagno. Ho
lavorato in un call center . Due anni, con un contratto ridicolo. Ma
quello che più mi ha colpita in negativo è stato lavorare in un
ufficio, al chiuso. Mi sembrava di soffocare. E poi sempre lo stesso
lavoro tutti i giorni. Non c'erano quelle soddisfazioni. Quelle del
lavoro agricolo. Di lavorare la terra. La vita all'aria aperta, il
contatto con gli animali, accudirli, vedere le loro dinamiche. Veder
crescere i frutti dell'orto. Assaggiarli. Che sapore meraviglioso.
Quello con la terra è un lavoro legato alle stagioni, al tempo. Non
c'è monotonia. Ricordo quell'estate troppo calda che rovinò la
raccolta dei pomodori. Ricordo i nonni arrabbiati per tutta la loro
fatica e il raccolto andato perso. La grandine. Che rabbia! La volpe
che un anno si mangiò tanti dei nostri polli. Le lacrime della
nonna. E all'inizio non capisci. Oppure il terreno impoverito perché
seminato troppe volte. La terra va fatta riposare. L'orto si sposta.
Tutte cose che non capivo. Poi le vivi. Impari. E' per tutto questo
che pur lavorando fuori davo anche sempre una mano a casa. Per
passione. Io adoro il lavoro all'aria aperta. Il lavoro che facevo
aveva sempre lo stesso ritmo. La routine. Con la terra c'è sempre da
fare qualcosa di nuovo, di diverso. Ma non potevo fare solo quello.
Col lavoro in azienda alla fine ci si va pari. Per esempio quando si
porta l'uva alla VICAS a Pontassieve quello che l'azienda guadagna
serve solo a ripagare le spese del gasolio del trattore, per la
manutenzione delle macchine.
A
vent'anni, come tutti i ragazzi avevo delle esigenze. Mi serviva lo
stipendio. Ma sentivo bene che il lavoro dentro quell'ufficio non
poteva essere il mio lavoro per tutta la vita.
Poi
ho fatto il servizio civile. Ho conosciuto la realtà dei Nidi
d'infanzia del comune di Rignano. Sono stata al nido di Troghi e a
quello di Rignano. E' stata per me una bella esperienza. Mi è
piaciuto il contatto con questi bambini. Ed è stato lì che ho avuto
la voglia di aprire la nostra azienda al territorio. Così i bambini
del nido vengono da noi diverse volte l'anno per tutte quelle
attività stagionali che la terra ci regala. Vengono a raccogliere
l'uva, a raccogliere le olive e a fare dei picnic a primavera per
vedere anche gli animali. E meno male perché oggi ci sono bambini
che non conoscono nemmeno la differenza fra una gallina e un pollo!!
Questa
è stata per me una bella occasione. Mi ha fatto capire cosa vorrei
fare in futuro. Ha aperto uno spiraglio per una futura progettualità.
Oltretutto questa era un'esperienza che avevamo già fatto in passato
con i bambini della materna di San Martino. Venivano nel periodo
della vendemmia per pestare l'uva. Li portavamo nella cantina piena
di tini. Che meraviglia quell'odore!
Il
mosto. E' uno degli odori della mia infanzia. "Il ribollir
dei tini...."
Adesso
la nostra vecchia cantina è stata ristrutturata in appartamento,
abbiamo una nuova cantina, rivestita in legno e con tutto in regola.
Se ne occupa il mio babbo. Ha ricevuto il testimone dal mio nonno.
Quand'ero piccola era lui che si occupava dell'uva, del vino. E'
stata dura per le nuove generazioni inserirsi e riuscire a lavorare.
Lo
è stato anche per me potermi occupare dell'orto. E per i miei
fratelli poter lavorare nei campi e poter usare il trattore
soprattutto.
Ricordo
che comunque tu facessi.... non andava mai bene!
Facevi
un solco in un punto e arrivavano mille motivi per cui lì non andava
fatto. Mettevi l' aglio e subito ti veniva detto che era meglio
metterlo da un'altra parte. I miei fratelli poi per poter usare
liberamente il trattore ci hanno messo tanto. Insomma per gli anziani
della mia famiglia non è stato facile dare fiducia ai giovani.
Ma
io ho sempre compreso il loro punto vista. Hanno fatto quello per
tutta una vita. L'ho hanno fatto a modo loro. E con lo scorrere del
tempo hanno dovuto abituarsi a vedersi sostituire. A guardarsi
invecchiare e scoprire di non essere più in grado di fare alcune
cose. A vedere i loro nipoti farle al posto loro. E a vederli usare
macchinari diversi. Lo scorrere del tempo. I cambiamenti. Per loro è
stato tanto faticoso. E quanti litigi ricordo.
Ma
ricordo anche tanto rispetto. Quello che oggi a volte non si vede più
da parte dei giovani verso gli anziani. Io l'ho vissuto. L'ho visto e
l'ho provato. Ed è stato davvero bello.
Alla
metà degli anni '90 però le cose sono cambiate. Nella mia famiglia
sono arrivate le malattie e con loro i lutti. E' stata dura e
dolorosa.
Abbiamo
deciso di rallentare anche nel lavoro. Abbiamo dato via i vitelli. E
abbiamo diviso ciò che ci avevano lasciato i nonni e gli zii per le
due famiglie. La divisione definitiva si è conclusa nel 2008. Ma
siamo rimasti tutti uniti. Solo che la nostra azienda non riusciva a
dare da vivere a tutti. I miei fratelli lavorano anche in un azienda
agricola più grande a Palazzolo per esempio. Ma abbiamo tutti la
volontà di investire nella nostra azienda di famiglia.
Certo
ci vorrà coraggio. Perché anche in questo lavoro il problema sono i
soldi. So che è brutto da dire ma anche nel lavoro agricolo senza
soldi è dura progettare. Se per esempio volessimo rimettere i
vitelli (è quello che vorrebbero tanto i miei fratelli) dovremmo
ristrutturare la stalla. Deve essere un ambiente a norma di legge. E
per farlo dovremmo prendere un finanziamento. Ma nessuno ti da dei
soldi senza garanzia. Abbiamo bisogno di un entrata fissa. Per gli
attrezzi per esempio ha sempre garantito mio padre. Abbiamo preso il
braccio meccanico per le olive. Le forbici meccaniche per la vigna
(perché stare lì una giornata con le forbici in mano è davvero
dura... penso ai miei fratelli che hanno sempre avuto tanto voglia di
lavorare ma dopo una giornata a potare tornavano a casa con queste
mani rovinane!).
Ora
vorremmo non aver più bisogno della garanzia di nessuno. Vorremmo
farlo noi giovani. Ma per adesso non ce la facciamo.
Le
idee sono tante. La volontà anche.
Nella
mia testa c'è l'idea di sfruttare la nostra azienda per realizzare
un progetto educativo per i bambini. Una fattoria didattica, un nido
domiciliare. I miei fratelli stanno mettendo via i soldi per
rimettere a posto la stalla e rimettere gli animali.
Ci vuole tanto coraggio. Vogliamo vederci una prospettiva futura. Sia
per il rispetto verso chi ci ha lasciato tutto questo e per il loro
lavoro, sia per la nostra passione.
Dopo
i tre anni in cui non ho studiato e dopo l'esperienza del servizio
civile ho deciso di iscrivermi all'Università. Ho scelto Scienze
della Formazione. Adesso ho finito gli esami e entro pochi mesi
darò la mia tesi. Nel frattempo è arrivato Francesco. Ci siamo
sposati. E ora vivo con lui qui a Cellai. Spostarmi qui è stata dura
all'inizio. Sono stata male. C'è una terrazza ora nella nostra casa.
Ma prima c'era solo una finestrina. Nessuno sbocco verso l'esterno. E
io giravo per casa come una matta. Abbiamo creato questo spazio
all'aperto perché non riuscivo a vivere bene senza poter uscire
fuori all'aria. Quest'anno ho pure piantato le fragole! Avevo troppa
nostalgia dei frutti che nascono! Francesco ha come mo una passione
per il lavoro in campagna e appena possiamo andiamo a casa mia a dare
una mano. Sono stata fortunata! Abbiamo anche un cane qui. Ma l'ho
preso solo perché qui a due passi c'è la mia casa a San Martino.
Ogni mattina, qualunque siano i miei impegni, lo prendo e lo porto
lì. Non posso pensarci a lasciarlo qui. Per me gli animali devono
stare liberi. Li ho sempre visti vivere così.
Questa
è la mia vita di ora.
Ma
spero di realizzare presto i miei progetti.
So
che ora c'è questo ritorno alla natura. Questo rispetto per la
terra, per l'ambiente. Va pure di moda il biologico. Ma se vuoi
ottenere la certificazione biologica ci vogliono soldi. E ce ne
vogliono tanti anche per mantenerla ogni anno. Sono sempre un po'
scettica sull'argomento. Insomma alla fine va così di moda che
questi prodotti li trovi anche al super mercato, in grandi quantità.
Noi, a San Martino, non ce l'abbiamo la certificazione per i nostri
prodotti, ma credo fermamente che i prodotti della nostra terra siano
biologici come pochi. Nel senso che le nostre galline mangiano il
granturco che seminiamo noi e che cresce sulla nostra terra che noi
concimiamo con il concime dei nostri animali o con quello del
contadino di fianco! E anche per i polli, abbiamo la chioccia e
l'incubatrice e nascono i pulcini dalle nostre uova... Più biologico
di così!
Quello
che vorrei ora è che ci fosse più comprensione per le piccole
aziende come la nostra. Vorrei che ci fosse un alleggerimento della
burocrazia. Le istituzioni dovrebbero darci una mano per fare in modo
che queste belle realtà non vadano a scomparire. Insomma sono venuti
a contestarci delle tettoie sotto le quali teniamo il fieno! "Dovete
pagare l'IMU anche su quelle" ci hanno detto. Ma non è un
palazzo, è semplicemente un posto riparato dalla pioggia. Dove lo
mettiamo sennò il fieno! Per farla breve abbiamo dovuto buttarle
giù. In questo modo ci si scoraggia però. E ci si limita a fare il
minimo. Per non morire.
Vorrei
che chi ha potere decisionale potesse venire e toccare con mano cosa
significa fare questo lavoro. Venisse a vedere quanto è bello e
quanto è faticoso. E vedesse con i suoi occhi che non si ha un
guadagno tale da farci la bella vita.
Perché
questo lavoro non si fa per i soldi.
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