LA BAMBINA DELLE PECORE

Storia di Rita Ronconi
A cura di Daniela Bencivenni

Mi chiamo Rita ed ho 82 anni, da 40 anni sto in questa casa. Inizialmente sono stata alla Rocchetta da sposata e poi a Fornello. Dopo la morte dei miei suoceri siamo stati al Girone. Mio marito Orlando era operaio agricolo e con noi abitava una sua zia che aveva una casa in via della Ciancola. La zia ci propose di andare ad abitare in questa casa a Monteloro e nonostante le difficoltà di movimento e spostamento per quei tempi, s’era negli anni '60 e non c’erano i mezzi di adesso, si decise di venire. La casa era quasi abbandonata, ma fu ben restaurata ed è stata sufficientemente spaziosa per noi e per i nostri due figli che ancora vivono qui adesso. Questa bella casa ha 110 anni e ci viviamo tutti volentieri, ma quando ero bambina le cose erano diverse, si stava coi miei genitori sotto Santa Brigida in Patina. Le case dei contadini mezzadri di una volta non erano certo come oggi. D’inverno era freddissimo, non c’era il bagno in casa e nemmeno i vetri alle finestre e se non le paravi con qualcosa ti entrava la neve dentro; la stalla era certo più calda della casa anche perché di legna se ne poteva usare poca, giusto per fare un po’ da mangiare, e si poteva prendere solo gli avanzi del campo, le potature, un po’ di ramaglie dalla pulitura del bosco... il resto era per il padrone.
Da bambina quando andavo a scuola, prima di partire, dovevo andare a raccogliere le ghiande per gli animali, poi mi ricambiavo e andavo a scuola e quando tornavo andavo dalle pecore. I genitori erano analfabeti e non mi potevano aiutare nei compiti, però me la cavavo e sono andata a scuola fino a 10 anni. Ero anche brava, ma non potevo studiare oltre perché s’era in dodici in famiglia. La mia vita è migliorata col matrimonio ma prima, mentre andavo dalle pecore, mi sono fatta il corredo. Facevo scialli, guanti, e mettevo da parte i soldi per il corredo: 12 paia di lenzuoli, le calze di lana, le federe e gli asciugamani e la sera, a veglia con un lumino a olio, li ricamavo. Facevo anche dei lavori con un trinato, con un filo tipo nylon, erano guanti da sera. Mentre stavo dalle pecore, a volte, se mi alzavo di scatto mentre lavoravo, mi si piantava l’uncinetto nello stomaco perché erano fini come gli aghi! Quando era freddo nel campo si faceva un cantuccio con la pietre e un focherello. Avevamo 13 – 15 pecore e la lana si portava a ricardare. Poi si filava da noi, si facevano le matasse con l’arcolaio e si usava per fare le calze e le maglie per gli uomini e le donne. Gli agnelli erano venduti dal padrone e al contadino non rimaneva mai nulla e nessuno gli pagava niente di contributi. Il mio suocero quando ebbe 10.000 lire di pensione fu felice come una Pasqua, ma campò poco, 66 anni lui e 62 lei. Io sono stata 64 anni con mio marito e quando se n'è andato aveva quasi 90 anni. Ma da giovane era dura. Le donne si occupavano delle pecore, oltre a portarle al pascolo le mungevano e facevano ricotta e formaggio; se si facevano 10 forme erano 5 per noi e 5 per il padrone. A volte il fattore indagava chiedendo ad altri su quante forme s’era fatto. Erano forme piccole e servivano per noi di casa, non si vendeva quasi nulla. Si mangiava poca carne e molta pasta fatta a mano, quando si andava dalle pecore ci si portava nel grembiule: noci, mele, pane e formaggio, e se in casa c’era l’aringa se ne prendeva un pezzetto e si arrostiva nel bosco.

Molto del lavoro era dedicato all’olio, “sei mesi l’anno si viveva sugli olivi”, si raccoglieva tutto, anche le olive che rimanevano in ritardo venivano raccolte per fare l’olio. Il frantoio era coi bovi (buoi), che giravano piano. Con i poderi successivi s’arrivava anche a 120 barili d’olio e se ne lasciava 50 al padrone. Chi veniva ad aiutare aveva circa 2 kg di olio al giorno. Allora veniva usata anche la sansa, e la prendevano al frantoio a conguagliare un po’ la macinatura delle olive. 

Di tempo libero non ce n’era mai, finito l’olio c’era la potatura delle viti e noi donne si facevano i “mantellini” (fascine) per il focolare mentre con le fascine degli olivi s'accendeva il forno per il pane. Poi c’era l’acqua da portare, s’andava al pozzo che era “a mezzo campo”, a circa 100 mt da casa, e al viaio a lavare i panni che era a circa un chilometro, con i panni che d’inverno si gelavano e facevano delle candele di ghiaccio.

Comunque, pensando ai rapporti tra le persone, in confronto ad oggi si può dire che c’era molta più solidarietà e rispetto. C’erano dei momenti in cui ci si trovava a fare dei lavori tutti insieme ed era come una festa. Ad esempio, quando si scartocciava il granturco, che spesso si faceva alla luce della luna perché non c’era luce elettrica, oppure quando finito il lavoro dell’olio si facevano le frittelle di riso, perché si diceva che portava bene per l’olio dell’anno successivo. Anche andare a veglia nelle case era un bel momento, lo zio suonava la fisarmonica e a turno si andava nelle case delle famiglie della zona, una volta da quello, una volta dall'altro. Chi portava dei fichi secchi o le noci, chi un po' di vin santo; in genere succedeva il sabato sera, in inverno, perché d'estate s'era troppo stanchi. Bastava una fisarmonica e si ballava con uno che guidava facendo la filastrocca per le quadriglie ecc. A volte c’era qualche festa a S. Brigida o a Lubaco oppure alla Cooperativa dove ballavano dal ’66 circa. Talvolta ci si muoveva con un tipo che aveva un calessino a S. Brigida e tre posti, era il postino Teofilo, e ci si doveva prenotare! Orlando stava alla Rocchetta, vicino al Sasso. Ci si conobbe alla Madonna del Sasso durante le feste del maggio. 

Mi sarebbe piaciuto fare anche altri lavori nella vita, ma quando mi capitò di poter andare alla Superpila a Firenze, non mi sentivo di lasciare Orlando con cui s’era fidanzati già da diversi anni.

Adesso che Orlando non c’è più, è mio figlio che, anche se lui fa un altro lavoro, si occupa del lavoro che faceva il babbo. Cura il piccolo podere intorno a casa, cura gli olivi, le piante da frutto, Orlando gli ha insegnato ad innestare le piante, come ha fatto con un sacco di gente di Monteloro! E' stato una specie di maestro dell'orto e del frutteto per tante persone che venivano da lui a chiedere consigli. Quando poteva, fino a 85 anni, ha tenuto dei piccoli corsi di potatura degli olivi e di innesto degli alberi da frutto..

In fondo qui si sta bene, Monteloro è un bel posto, anche se è un po’ cambiato; le case sono meglio di una volta, tutte restaurate, ma l’ambiente intorno è senz’altro peggiorato rispetto a come veniva tenuto il terreno. I campi adesso sembrano tutti incolti. Per esempio, i corsi d’acqua erano più curati, in ogni campo c’erano tanti solchi fatti apposta per lo scolo delle acque. L’orto si faceva nel campo, le zucche insieme al granturco, e non si annaffiava mai, ce n’era così poca d' acqua! 

Però le cose venivano lo stesso... forse sta cambiando anche il clima.


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