LA MIA STORIA ALLA FATTORIA ALTOMENA

Storia di Fatjona Sina
A cura di Paola Canu


Sono Sina Fatjon e vengo dall’Albania. Sono arrivato in Italia nel 2002. Ero minorenne. Poi sono stato in una casa famiglia e loro mi hanno trovato il lavoro qui, alla Fattoria Altomena, sicché da allora ho sempre fatto questo lavoro. Qui si fanno vino e olio. Ora siamo in un momento in cui si potano gli ulivi. Dopo la potatura si raccattano le frasche, si bruciano. Poi dopo ci occupiamo della vigna e si fa anche lì la potatura, sempre d’inverno. Poi si fa la potatura al verde, a settembre, fine settembre, così. Ai primi di settembre s’inizia anche la vendemmia, poi dopo si fa cantina, si svina. Dopo che si è finita la vendemmia, s’incomincia a raccogliere le olive: tutte le sere si portano in frantoio, si fa l’olio e poi si mangia l’olio. Mi piacciono i trattori. Ai giovani piace lavorare con le macchine. Però mi trovo bene anche a potare gli ulivi. Ormai sono pochi i giovani che potano e fanno agricoltura. Io, invece, ho voglia di imparare e ce la sto mettendo tutta. Sicché sono a un buon punto.
Il posto poi è bello, anche quello è il lavoro in agricoltura. Per la salute fa bene perché si sta sempre all’aria aperta e il panorama è bello. Dicono che la Toscana sia il polmone dell’Italia, sicché, meglio di così. 

Anche i miei genitori fanno questo mestiere. Così per me non è una cosa nuova, non stavo in città. Vengo dalla campagna, da Ljusne, che si trova nel centro dell’Albania. Anche loro hanno un po’ di alberi da frutta, un piccolo vigneto, degli ulivi. Un po’ di tutto: ciliegie, arance. Loro campano in questa maniera e non si aspettano nulla da noi. E’ già una bella cosa perché sento dei miei paesani che mandano giù soldi ai genitori per campare e tutto quanto. 

A me non garberebbe lavorare in fabbrica. Se devo stare al chiuso, preferisco lavorare in una fattoria, anche se duro più fatica. In fabbrica non ci starei nemmeno mezz’ora. Io e i miei colleghi siamo abituati a fare questo lavoro. Poi si fa volentieri, con passione e tutto.

In Italia fo conto di essere a casa mia, con tutti, dal primo giorno in cui sono arrivato. Intanto, chi dice “quello è un albanese e questo e quello”, è un maleducato, perché offende, ma posso anche capire, perché se qualcuno ha avuto una brutta esperienza con un albanese, è giusto che abbia anche paura. Alla fine, nel mondo, siamo tutti uguali. Ci sono i buoni e i poco buoni, i cattivi, e quelli io non li guardo neanche. Poi, Nico, il nostro principale, non fa differenza fra stranieri e italiani. Sì, qui mi trovo bene. Dal 2002 non ho mai avuto problemi qui alla fattoria, ma nemmeno fuori dalla fattoria. 

I nostri orari sono dalle 7-12 e dal tocco alle 17. Poi, quando c’è la vendemmia, si fanno nove ore di lavoro, a volte undici, quelle di cui c’è bisogno perché quando si vendemmia, la sera, si va in cantina a passare l’uva e quando si è finito si fa festa. Non si guarda l’orario. Quando siamo a raccogliere le olive è uguale. Quando siamo al frantoio a fare l’olio, ci vogliono due tre ore per farle e bisogna che si stia lì per aspettarle, perché noi si filtra anche l’olio, sicché si lavora abbastanza. Il sabato si lavora quando c’è la vendemmia e la raccolta delle olive. Proprio quando la fattoria ha più bisogno. Invece negli altri tempi si lavoro dal lunedì al venerdì, per otto ore. 

In certi momenti ho poco tempo da dedicare alla mia famiglia. Sono sposato, ho una moglie e un bambino che ha otto mesi. Viviamo a Pontassieve. Anche mia moglie è albanese. Fa la casalinga perché non ha ancora trovato un lavoro. Al momento, per esempio, ne ho poco, perché sono a lavorare, anche sabato e domenica mattina, perché ora faccio anche il giardiniere durante il fine settimana, in zona. C’è da fare il giardino, o da potare la siepe. Poi, passati questi due, tre mesi c’è più tempo. Sono libero quasi tutte le domeniche. Anche i sabati, diciamo. Sai, non sono mai stato in cassa malattia. Ho iniziato nel settembre del 2002 e sono stato a casa solo per tre giorni d’infortunio perché mi avevano spaccato la testa. Poi basta. Per il resto l’INPS non ci conosce per la cassa malattia, più o meno tutti noi che lavoriamo qui. Qualche volte si sta anche male ma io, se sono ammalato, mi passa meglio se sono a lavorare che rimanere a casa, al chiuso. Preferisco venire a lavorare, così, pian piano mi passa. Per il resto l’orario si rispetta sempre. Se ho bisogno, posso andare via prima. Basta che glielo dica a Nico. Non siamo in una fabbrica così, se vado via io, non stanno fermi dieci persone. A volte vo’ via prima, a volte dieci minuti, mezz’ora dopo. Ci si mette d’accordo col principale e non abbiamo mai avuto problemi. E’ uno con cui si può ragionare delle cose. Anche per altre cose, lui è proprio preciso. Siamo come una famiglia. Siamo tre operai, con l’impiegato quattro. Non siamo trenta o quaranta. E’ bravo anche lui, porca miseria. Prima si avevano più vigne, si era anche di più, si aveva più lavoro. Invece ora abbiamo quattro ettari e basta di vigna. Prima io mandavo solo trattori. Invece ora, c’è meno gente e poi la crisi, si potano gli olivi, la vite e tutto. Si fa quello che c’è da fare, diciamo.

Per quanto riguarda gli studi, ho la terza media e ho lasciato il liceo a metà in Albania. In Italia non sono mai andato a scuola. Alla casa famiglia veniva uno e m’insegnava italiano. Dopo tre mesi ho imparato a parlare e a comunicare, poi dopo, via via, ho imparato sul lavoro. Lì ho imparato come si deve. Ringrazio la famiglia che mi ha ospitato. Per me loro sono una seconda famiglia. Dopo i miei genitori, ci sono loro. Hanno aiutato me, mio fratello e mio cugino, ma davvero. Ora siamo noi ad aiutarli. Hanno più di ottanta anni. Stanno in campagna e allora gli ho piantati gli ulivi a questa signora, perché anche lei ci tiene alla campagna. Sicché vado a potarglieli, gli do il concime e faccio un po’ di lavoretti, in cambio dei piaceri che lei mi ha fatto. Facevano conto che fossimo i loro figlioli. A volte c’era anche un marocchino. Per loro eravamo tutti uguali. 

Mi piace l’Italia. Ho sempre fatto conto di essere a casa mia. Non vo’ a chiedere nulla a nessuno. A Pontassieve sono in affitto. Quando ho pagato l’affitto, la casa è mia. Non possono dirmi di tornare in Albania. Io sono arrivato a sedici anni e ora ne ho trenta, quasi metà della mia vita l’ho passato laggiù e l’altra metà qui. Poi là ero bambino, il resto della mia vita l’ho passata qui, sicché ci tengo. Ci tengo anche al mio paese, perché è la mia nazionalità, però, se vo’ laggiù, mi va bene starci un mese, poi dopo mi tocca scappar via. Tutto è una catena: qui ho il lavoro, la famiglia, gli amici, ho tutto qua. Così mi organizzo a fare delle cose, progetto e tutto. Due o tre anni fa mi capitava di pensare: voglio tornare giù e fare qualche cosa, invece, da quando sono sposato e ora che ho il figliolo, allora ho detto che in Albania non ci voglio tornare più. Figuriamoci il mio figliolo. E’ nato qua. Qua andrà all’asilo e a scuola. Vorremmo comprare una casa, appena avremo la possibilità. Dovendo comunque pagare l’affitto, tanto vale pagare il mutuo. Mi sono sempre trovato bene, ma mi sono anche dato da fare. Se uno ha voglia di lavorare, non c’è problema. Ho degli amici italiani che mi lasciano entrare in casa dicendomi di fare conto di essere a casa mia ed io faccio così. Dove vado a lavorare mi conoscono e si fidano. Mi lasciano le chiavi della casa e tutto. Così anche alla fattoria. Sull’Italia non ho da aggiungere nulla. Tutto bene!

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