TESTIMONIANZE DI UN'EVOLUZIONE


Storia di Giuseppe Guidi
A cura di Alessandro Messini

Io sono Giuseppe Guidi, nato nel Comune di Reggello il 6 dicembre del 1926 ed abito, con mia moglie, a Fontisterni, nel Comune di Pelago, nella casa detta Il Poggiolo. Sono un contadino, un vecchio contadino, ormai in pensione e sono nato contadino.
 Quando nacqui la mia famiglia non stava qui, stava a Migliorino, un podere poco sotto al Saltino. Per arrivarci c’era una stradella che saliva dalla Pieve a Pitiana e dal sottostante podere di Cappello, poco più che una mulattiera. Dopo casa nostra la stradella diventava una serie di viottolini che, al massimo, potevano essere percorsi da un carretto trainato da un somaro, per salire attraverso il bosco fino al Saltino. Era un posto in cui c’era un po’ di tutto: grano, vino, olio e tanto, tanto bosco. Avevamo foraggi, castagne e tante bestie per governarle con quella roba di bosco. Avevamo i maiali, le pecore per il formaggio e le mucche per il latte. 

Tutte le mattine, in estate, quando c’era la stagione al Saltino, il mio nonno andava presto, presto a portare il latte alle cucine degli alberghi per le colazioni dei signori in villeggiatura. Attaccava il somaro al carrettino e sopra ci metteva i bidoni del latte appena munto nella stalla. A volte, per far prima, oppure se non aveva tanto carico, bardava l’animale con il solo basto e metteva i bidoni lì sopra. Qualche volta portava anche me, per farmi vedere come si faceva e per insegnarmi qualche cosa. 

In casa eravamo 10 persone, fra tutti: il nonno e la nonna, i miei genitori, io e mio fratello Giorgio, lo zio Paolo e sua moglie, Luigi, il loro figliolo e lo zio Picchio (Francesco faceva di nome, ma tutti si chiamava i’ Picchio) . Siamo venuti via da lassù perché era un posto troppo scomodo e quando alla fattoria (Pitiana) si liberò il podere de Il Poggiolo, in Fontisterni, si tornò quaggiù. C’era tanto più vino, tanto più grano e soprattutto tanto più olio. C’era più resa per ogni cosa e, rispetto a prima, s’era in centro. 

Abbiamo sempre lavorato; tante ore, ogni giorno, senza mai contarle: quando era giorno si partiva e finché non era buio non si tornava. A volte si mangiava anche nel campo. Era il 6 febbraio del 1936, non avevo ancora 10 anni.

Il mestiere del contadino l'ho imparato lavorando con i miei. Per star dietro alle bestie, cioè per fare il bifolco, ho imparato dal mio babbo e dal mio nonno. Il nonno quando eravamo nella stalla, si sedeva su una panca bassa che era lì, appoggiata al muro, e mi diceva: 

- “Fai così, fai cosà”. A me, che avevo sì e no 11 o 12 anni.

Il nonno, “Lilli” era soprannominato, era un uomo di grande forza; era capace di bere del vino a garganella, da un barile. Era capace di prendere il barile a due mani, sollevarlo sopra la testa e farsi cadere in bocca, con precisione, soltanto una sorsata. 

Dallo zio Paolo ho imparato a guardare gli olivi. Lui si era dedicato a tutte le cose del campo: olivi e tutte le altre piante, ma non era la sola cosa che faceva: d'inverno andava al frantoio della fattoria per fare il frantoiano, nell'estate era lui che faceva l'opre (opere) richieste dalla Fattoria per i terreni a conto diretto che avevano su al Vignale. C'era da segare il grano, da fare il fieno e via via quello di cui c'era bisogno.

Quando il nonno fu troppo vecchio e malato per fare tante cose, fu naturale che fosse lo zio Paolo ad occuparsi dei rapporti con la Fattoria: era quello che loro conoscevano di più.

Anche i' zio Picchio era capace per le piante: in fattoria aveva fatto il corso di potatura ed anche quello da innestino. 

Quando s'era tutti che si lavorava nel campo, s'era tanti ed il nostro podere era tenuto bene. Guai se a qualcuno capitava di sciupare una pianta: per averci appoggiato male la scala, per averla accostata troppo con il vomere o per aver sbagliato a tagliarla. Se capitava di far cascare un sasso da un muretto o di intasare una chiavica o un fossetto, subito bisognava mettersi lì e fare la riparazione che serviva. Anche di domenica se non c'era stato il tempo di farlo prima. 

I cambiamenti piano, piano arrivarono anche a Il Poggiolo. Benché fosse un podere tenuto bene, cominciava ad essere piccolo per una famiglia di ben 12 persone. Lo zio Francesco, infatti, s'era sposato nel '37 e nel '38 ebbe una figlia, l'unica. Nel '41 gli capitò l'occasione di avvicinarsi di più a Firenze e di fare anche un lavoro meno faticoso, soprattutto per le sue donne: andò quindi come guardiacaccia in una tenuta vicino al Girone, alle porte di Firenze.

Il passaggio della guerra cambiò tutto. Il mondo, la gente, la testa della gente, i soldi,.... 

Tante fattorie cominciarono a vendere la terra. Dovevano rifare i capitali. Ai vecchi proprietari se ne sostituirono altri. Anche la fattoria di Pitiana cominciò a vendere e per primi vendé i quattro poderi che aveva in Fontisterni, nel Comune di Pelago: Il Fossato, Il Poggiolo, Frontignano e Le Balze. Dopo ne ha venduti tanti altri, come fecero tutti, in quegli anni ed anche dopo, per parecchio tempo. 

Ad investire nell'acquisto dei quattro poderi di Fontisterni, furono dei fratelli di Paterno (Pelago), che, pur avendo i loro interessi in altre rami, conoscevano il valore della terra e dell'agricoltura.

Fu nel '55 che, morta la vecchia nonna, se ne andò anche lo zio Paolo con la su' moglie e il su' figliolo. Trovarono una casina a Tosi, sulla strada, con un pezzetto di terra che aveva olivi ed anche viti. Il mi' cugino aveva trovato lavoro fra gli operai della Forestale e finì con lo sposarsi con una del posto.

Mio fratello si sposò il primo Ottobre del '55 ed io l'anno dopo. Tutti e due restammo al Poggiolo ed il nostro lavoro non era ancora cambiato. Si poteva dire che era cambiata una generazione di contadini, ma il lavoro ancora rimaneva lo stesso. Si cominciava appena a vedere qualche macchinario nei campi, ma il grosso era ancora fatto a mano.

Che hanno fatto cambiare il modo di lavorare dei contadini sono stati i trattori e le falciatrici. 

La nostra era una falciatrice BCS, con il legatore per il grano. Ci si faceva il fieno, si falciava il grano e lo si legava in covoni; si dava il ramato, perché la falciatrice l’aveva anche la pompa per dare il ramato. Ci si poteva attaccare una puleggia per poi mandare, con una cinghia, la sega circolare per segare la legna. La c’è ancora, laggiù dietro la cantina, la puleggia per la sega della legna. Non ci si poteva attaccare un carrello a quella falciatrice perché mancava un pezzo di collegamento che non s’aveva.

Il primo trattore fu quello piccino, a cingoli. Solo nel ’75 i padroni si convinsero a comprarne un altro, usato ma a ruote. Dicevano che sarebbe stato inutile per usarlo soltanto nel nostro podere, ma poi si sono accorti che è stato l’arnese che ha fatto più comodo di tutti. Funziona ancora ed ancora l’adopro, ma ..è una vera e propria macchina d’epoca.

L’anno dopo, l’anno in cui si ammalò il mio babbo, arrivarono anche la pressa ed il rastrello per ravviare il fieno e fare le file. Forse un po’ d’attrezzatura il padrone l’avrebbe comprata lo stesso, visto che l’anno avanti l’avevamo presa a noleggio la pressa, ma certo che, con il babbo infermo; con la mamma che non poteva più fare tante cose e che poco dopo la morì; con una delle due donne che doveva rimanere a casa per badare ai vecchi e fare quel che c’era bisogno di fare, bisognava per forza cambiare qualcosa nel modo di lavorare.

Quelli sono stati anni di grande movimento e cambiamento. Dopo che si venne via noi, a Migliorino ci tornò un'altra famiglia di contadini. Ci stettero vent’anni, ma poi vennero via anche loro e si sistemarono qui, poco lontano da noi. Anche loro per migliorare la propria condizione.

Con l’uso dei macchinari si riusciva a lavorare in minor tempo e con meno fatica. Si cominciò ad avere più tempo libero, ma si poté anche lavorare più terra, aumentare quindi la produzione e di conseguenza guadagnare anche di più. 

I contadini degli altri tre poderi che i padroni avevano in Fontisterni, avevano smesso di fare il contadino già negli anni ’60 e noi del Poggiolo, grazie anche alle nostre macchine, potemmo occuparci anche di gran parte di quei terreni, almeno per quanto riguardava olio, vino e foraggi. 

Quando comprarono il nostro podere, i nuovi proprietari ci accordarono anche un aumento nel contratto mezzadrile: ottenemmo il 58%, anziché il 53. Più tardi passammo al 64%, proprio in virtù dell'aumento di reddito dovuto, in massima parte, all'aumento di superficie di terreno che riuscivamo a coltivare ed a mettere a frutto. Inoltre, con i nuovi proprietari voleva dire anche non avere più addosso i controlli di fattore, sotto fattore o terz'omo che fosse. Si poteva fare un po' più come si voleva. Anche quando c'era da decidere se fare o non fare una certa cosa, si discuteva insieme, ma, alla fine, s'era più noi che si decideva. 

Anche per le donne della famiglia questi mutamenti nella maniera di fare il contadino portò dei cambiamenti: ai tempi di Migliorino le donne, nei contatti con la fattoria, praticamente, le non esistevano. Al tempo d'oggi, invece, se c'è da cambiare qualcosa negli accordi con il proprietario, l'hanno modo di dire quello che pensano anche loro. C'era un tempo in cui le donne l'andavano soltanto a lavorare nel campo: a far l'erba, a seminare, ma nella stalla, per dire, ci s'andava soltanto noi uomini. C'era qualche casa in cui anche le donne lavoravano nella stalla, ma da noi no. Forse perché s'era diversi uomini e si bastava noi. Mi ricordo che molte volte, quando s'andava, in più contadini, con il Sensale, a comprare delle bestie nuove, specialmente in Casentino, da molti veniva richiesta “la prova dell'autobus” e “la prova della donna”- I compratori volevano cioè vedere come si comportava un giovenco di fronte al transito di un grosso e rumoroso automezzo, oppure come reagiva se veniva avvicinato da una donna anziché da un uomo. Se l'animale mostrava segni di irrequietezza o di inquietudine, l'affare non si faceva, oppure il prezzo doveva abbassarsi di parecchio, perché sarebbe stata necessaria un'ulteriore azione di doma. 

La mi' donna io l'ho conosciuta andando, la domenica, con gli amici, a qualche festa, a qualcuno di quei ritrovi che un tempo si facevano nelle borgate di campagna: per il Patrono, per qualche Processione, per qualche sposalizio, o semplicemente perché in quel posto, dopo le funzioni in chiesa c'era qualcuno con uno strumento musicale che suonava ed i giovani potevano ballare in pubblico, cogliendo l'occasione per conoscersi.

Quando ero giovane io erano gli anni '50, all'incirca il '53, il '55 ed abitando a Fontisterni anziché a Migliorino avevo modo di frequentare di più anche altri posti. Rimanevo sempre in ambiente contadino, non andavo cioè a ballare a Firenze o da altre parti simili, ma nelle campagne dei dintorni sì. 

Ho conosciuto mia moglie in una di queste occasioni a Nipozzano, dove lei abitava. I suoi erano contadini del Castello di Nipozzano ed in casa, oltre ai genitori, c'erano due ragazze ed un giovanotto. Essendo più donne in casa, lei era stata abituata anche a lavorare nei campi facendo anche cose non proprio da donne; per esempio lei vangava anche. Inoltre, abitando più vicino di me a Pontassieve, il paese più grosso del circondario, ci andava abbastanza spesso. Comunque, su per giù, faceva la stessa vita e lo stesso lavoro delle donne di casa nostra qui a Fontisterni.

L'aumento del guadagno per noi del Poggiolo volle anche dire potersi muovere di più, vedere posti nuovi, andare di più in giro, possedere un'automobile, fare qualche gita un po' più lontano dai nostri soliti posti. Soprattutto per le donne che erano quelle che uscivano meno di tutti. Il mi' fratello raccontava spesso le parole di sua suocera, quella volta che l'avevano convinta ad andare, nel pomeriggio di una domenica d'estate, a far merenda alla Consuma. Quando le dissero che tutto quel panorama che si ammirava lassù dal valico, era il Casentino, la vecchia donna disse: 

- “Mai avrei creduto che il Casentino fosse qui, così vicino! Sono stata tante volte, dopo cena, a guardare di sull'aia, verso Campiglioni e il poggio della Consuma, se vedevo la lanterna di mi' marito che tornava da comprar le bestie in Casentino con il sensale di Sant'Ellero. Tornavan sempre tardi, io pensavo che il Casentino fosse più lontano”.

La mia prima automobile, la prima macchina di famiglia, fu una cinquecento familiare. L'abbiamo tenuta per parecchi anni, quasi venti. Ci si faceva di tutto, ci si portava la gente e, all'occorrenza, anche qualche animale che aveva bisogno d'essere consegnato o ritirato da qualcuno. Ci hanno imparato a guidare anche le nostre figliole più grandi. La domenica, se si partiva per qualche gita, Vallombrosa o simile, non s'era mai meno di cinque, più la roba. 

Io ho cominciato a fare il Capoccia di questa famiglia, dopo che fu andato via lo zio Paolo, nel '55. Praticamente il mio babbo non ne voleva sapere ed io ero il figliolo maggiore, per cui toccò a me. L'era una bella responsabilità, perché voleva dire cercare di accontentare tutti, cosa non sempre facile. Non è come fare qualcosa di personale. Quando si deve fare una cosa per tutta la famiglia bisogna sempre cercare di sapere prima come la pensano gli altri, in modo da poter accontentare tutti. Quando tornavo da fuori, dove ero andato per fare qualcosa, raccontavo cosa avevo fatto: se avevo comprato dicevo cosa e quanto avevo speso, se invece avevo venduto dicevo quanto avevo incassato. 

Io mi occupavo delle bestie nella stalla. Le compravo e le vendevo, le pulivo le governavo e tutto quanto. Alle faccende della cantina ed a quelle dell'orciaia, ci pensava di più Giorgio che io. Ognuno di noi aveva una sua mansione specifica perché non è che tutti si può far tutto. Il babbo, finché ha potuto, ci ha aiutati entrambi.

Per le donne le mansioni erano sempre le solite: le faccende di casa, aiutare per le semine e per le falciature, una pensava ai conigli e l'altra ai polli. Dovevano governare ognuna i suoi animali, pensare agli accoppiamenti, tenerli puliti, venderli o macellarli quando era l'ora. 

Nella mia vita ho sempre avuto tanta responsabilità. Anche per il rapporto con i padroni ! 

Mi facevano sempre decidere tutto a me. Per esempio, anche se veniva uno dell'Enel e voleva mettere nel podere una nuova linea elettrica o fare degli interventi a quelle esistenti, loro lo mandavano da me e basta. 

Dover decidere per gli altri, sulle cose che appartengono agli altri, è una bella responsabilità! Io cercavo sempre di fare bene, ma si sa che non sempre le faccende riescono allo stesso modo e quindi stavo sempre con il timore che qualcosa non andasse bene. 

Mi son trovato a dover agire sia da contadino che da fattore. Dovevo essere sempre io a fare ragionamenti, a consigliare ed alla fine anche a motivare la decisione. 

Quando finì la mezzadria e molti contadini si trasformarono in operai agricoli delle fattorie, o in coltivatori diretti che acquistavano, o prendevano in affitto il loro podere, i nostri proprietari non vollero dar via la terra. Neppure in affitto. Non vollero neppure che si andasse via. Ci dissero che volevano rimanere in buoni rapporti con noi, ci assicurarono che avremmo fatto come si voleva, ci aumentarono la percentuale di guadagno fino al 64%, per poi salire al 67% per il guadagno delle bestie.

Dopo averne parlato, in famiglia si fu tutti d'accordo e si decise di accettare. Si stipulò un contratto di comodato con questi patti. Siamo quindi rimasti qui, con quel nuovo contratto.

In quel periodo cominciarono a nascere anche nella nostra zona le idee delle Cooperative Agricole ed anche noi fummo fra i soci che diedero vita alla Cantina Sociale, la Vi.C.A.S.. Fummo soci ma non abbiamo mai consegnato l'uva perché avevamo tanti parenti ed amici che volevano comprare direttamente il nostro vino che non ne avevamo da portare alla Cantina. Soltanto una volta, mi pare, consegnammo qualcosa. 

Lo stesso successe poi con l'Ol.C.A.S.. Gli diedi i quattrini per cominciare e sono stato socio fino a quando durò la società originaria. Oggi si è trasformata in una società di un'altra specie. Anzi, tempo indietro mi chiesero anche se rivolevo i miei soldi, ma io dissi che li tenessero pure.

I padroni non furono mai contrari a questa nostra partecipazione alle Cooperative, perché ognuno di noi, dopo aver spartito il vino e l'olio, con la sua parte poteva fare quello che voleva. Anche per la scelta di andare in un frantoio o in un altro, il padrone non ha mai fatto obiezioni. Erano tanti anni che noi andavamo a Reggello, in un frantoio con cui abbiamo sempre avuto amicizia e buoni rapporti, abbiamo continuato ad andare lì e non all'Ol.C.A.S.

Qui al Poggiolo abbiamo sempre mantenuto una coltivazione di tipo tradizionale, benché intorno a noi, gli altri, mettessero, sempre di più, vigne ed olivete specializzate. 

Filari di vigna ne abbiamo pochi; diverse viti sono ancora con i pali ed i pioppi. Gli olivi sono sempre stati tanti, anche troppi. Soltanto adesso si comincia a vederne qualcuno che avrebbe bisogno di essere sostituito, ma ormai... . Per cui, non c'è mai stato bisogno di fare grossi lavori di risistemazione in maniera differente. Il guadagno veniva fuori lo stesso.

I problemi, per Il Poggiolo, dovrebbero arrivare da qui in avanti. 

Ho posto ai proprietari il fatto di potare gli olivi, facendo notare che io non posso più farlo. Per ora nessuno di loro ne parla. Anzi, parlano di vendere tutto. All'inizio tutto insieme, ora, forse, lo vorrebbero vendere anche a pezzetti.

Le mie figliole sono entrambe sposate ed abitano lontano da qui. Non hanno molto attaccamento per il luogo in cui sono nate o per la terra. Una forse sì, ne ha un po' di più, ma ha già del terreno per conto suo, per cui... Io cerco di fare quello che posso e che mi va. 

In questi giorni sto sistemando le viti, ma ancora non ho finito. Gli olivi non li guardo e le bestie non ci sono più.

Non è tanto per una questione di salute o di disinteresse da parte mia. E' una questione dei proprietari che adesso sono diversi. C'è uno dei vecchi fratelli e ci sono gli eredi di chi è morto. L'agricoltura, oggi, la va a finire dappertutto, ma qui poi .. . Anche il maiale: c'è chi lo vorrebbe e chi non lo vuole. Il vecchio non lo vuole, i figlioli ed i nipoti sì. Quando vengono qui da me, dicono: “Che si fa, si rimette il maiale?” Però nessuno fa progetti o piglia iniziative.

Io so che ancora non sarebbe tardi: si potrebbe comprare, a settembre, un maiale un po' più grosso del solito e prepararlo per la fine dell'anno, ma nessuno decide nulla.

Staremo a vedere.


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