TORNARE AL LAVORO AGRICOLO


Storia di Elisabetta Bianchi
A cura di Vanna Innocenti

Mi chiamo Elisabetta Bianchi, ho 27 anni e sono nata a Firenze.

Mi stavo laureando, stavo facendo l'ultimo esame, ma le cose andavano un po' a rilento.

C'era dentro di me indecisione per il futuro e gli studi ne risentivano. Finire l'università per poi non sapere cosa fare e restare disoccupata per anni, come tanti della mia età, o scegliere di andare all'estero, come hanno fatto molti dei miei amici, per me non erano prospettive e il dopo laurea mi faceva paura.
Dentro di me, sin da piccola, qualche volta compariva il sogno di tornare a vivere in campagna. In questo podere che era abbandonato dalla fine della mezzadria, intorno agli anni '80, qui, nei terreni che erano appartenuti ai miei nonni e dove ogni tanto si tornava con la famiglia.

Ma così, una fantasia di bambina, come si può pensare di fare la cantante da grandi!

Poi crescendo il sogno prese la forma di agriturismo.

Mi ricordo di averne parlato scherzosamente anni prima con i miei genitori, trasformare la Fontaccia, la tenuta abbandonata sulla collina poco distante dal paese della Rufina, era una possibilità lontana ed irrealizzabile, nelle sue strutture ormai cadenti non si poteva neanche abitare.

Ho fatto il liceo linguistico e di seguito una triennale sotto economia, con laurea in scienze turistiche. 

Un tirocinio, previsto dai miei studi, presso l'ufficio del turismo del Comune di Firenze, mi permise di capire e riaccendere la mia passione per il turismo vivendone gli aspetti dall'interno del settore. 

Pensavo che in seguito avrei lavorato lì.

Non l'avrei mai detto, allora, che poi mi sarei buttata in agricoltura.

Tempo dopo, per caso, tramite lo zio del mio ragazzo, un agronomo, venni a conoscenza della possibilità di avere fondi della Comunità Europea, del P.S.R. (Piano Sviluppo Rurale), con buone probabilità di accedervi, dato che erano destinati ai giovani e alle donne.

Ne riparlai ai miei genitori e, messi davanti alla concreta possibilità di avere quei finanziamenti per ristrutturare il podere, hanno cominciato a supportarmi, con il mio ragazzo, i miei fratelli ed i miei nonni, ai quali, prima di assegnarlo alla mia mamma, era appartenuto il podere.

Da un giorno all'altro, decisi e mi buttai in questa avventura!

Da lì iniziò il cambiamento, forte della decisione di fare l'agriturismo tutto divenne più facile, in discesa, così almeno l'ho vissuto.

Solo in seguito mi sono resa conto che aprire un azienda non è per niente semplice. Per niente ...

Oggi vivo alla Rufina dove ho aperto nel 2010 la mia azienda agricola, sto finalmente facendo partire il mio agriturismo , con il mio ragazzo, Samuele, che studia architettura e insieme a noi, il mio cane.

Quando sono arrivata qui non c'era nulla, era una fattoria abbandonata da una trentina d'anni.

Assieme abbiamo recuperato circa 200 ulivi, Il resto del terreno era molto boscoso.

Abbiamo iniziato piantando altre 200 piante di olivo e ripulendo parte del bosco e del terreno, stiamo proseguendo con la ripulitura di altre parti. Poi abbiamo piantato alberi da frutto ed iniziato ad impiantare l'orto sinergico. 

Da subito mi sono diretta verso lo sviluppo di un'attività agri-turistica rispettosa dell'ambiente.

Posso fare le conserve e finalmente ho la certificazione biologica, Il mio olio è biologico. 

In questi anni abbiamo restaurato la casa colonica. Le strutture annesse sono state trasformate per l'accoglienza turistica.

Ciò che non è stato possibile recuperare è stato ricostruito nel rispetto della forma e della posizione, integrando il tutto con impianti per la produzione energetica con fonti rinnovabili che avviene tramite pannelli fotovoltaici e solari termici. Abbiamo attivato la raccolta delle acque piovane e montato termo camini a legna, così che in inverno ci scaldiamo solo con la legna del bosco. Una particolare attenzione è rivolta in casa a tutto quello che riguarda la raccolta differenziata e la riduzione al minimo del consumo d'acqua.

Abbiamo lavorato tanto "e molto a mano" anche per il ripristino dei terreni.

Abbiamo ritrovato un vecchio fossetto , attraverso tutto il nostro campo, che convogliava le acque in un sistema di canali, raccogliendole anche dalle varie fattorie. Passando da un podere all'altro, conduceva l'acqua fino alla Sieve.

L'abbiamo riscoperto per caso, era pieno di terra e rovi, ripulito, era tutto costruito in pietra, sagomato, levigato e ben funzionante.

Siamo riusciti a ricanalizzarci le acque, i flussi delle acque erodevano anche i terreni intorno.

"La Fontaccia", come si chiama il mio podere già dal 1819, nel nome riporta alla mente la ricca presenza di fonti di acque naturali. Un bene che ci aiuta nell'irrigazione, ma che richiede un grande lavoro di controllo, canalizzazioni e cura costante.

Il podere abbraccia una zona collinare di 14 ettari, ma i lavori di recupero del terreno abbandonato, hanno ridotto il degrado di un'area molto più vasta, dal punto di vista del rischio idrogeologico.

Il mantenimento e la riduzione dei rischi funzionano però solo se si lavora molto in tutte le stagioni e se s'interviene con senno e tempestività nei casi di maggior rischio, anche mentre piove.

Una volta le persone presenti nelle fattorie erano tante e con il lavoro quotidiano di ognuno era possibile curare e mantenere il terreno, i muri a secco, le canalizzazioni e provvedere al proprio sostentamento e alla creazione di quella micro economia sociale che oggi non esiste più.

La cura del territorio richiede ancora oggi molte attività, per lo più fatte a mano con zappe, guanti, attenzione ... ma anche tanto sudore. Resta il fatto che oggi bastano 2-3 persone adeguatamente attrezzate per fare lo stesso lavoro in meno tempo di appena 50 anni fa. Allora si richiedeva il doppio del tempo e di fatica e la presenza del bestiame come forza motrice.

Ma in fondo siamo fortunati, è un terreno buono e con una buona esposizione.

Conto di farlo tornare in piena produzione con i tanti prodotti che mi piacerebbe coltivare ... lo zafferano, le erbe aromatiche, tanta frutta. ... ora ci sono solo tante more.

Una volta, vivevano qui venti persone, due, tre nuclei familiari che vi lavoravano e curavano tutto, abitavano in queste stesse stanze. Sotto le camere c'era la stalla, vicino c'era il fienile.

Era una fattoria che produceva e rendeva bene.

Si lavorava molto, come risulta dai documenti e dalle registrazioni. C'era molto vigneto, c'erano olivi, alberi da frutto, allevamenti di animali, ... mia nonna si ricorda che c'era un grande campo con ciliegi, un altro solo di peschi, un grande orto ...

Me lo ricordano i vecchi contadini quando vengono qui a ritrovare i posti dove hanno vissuto.

Sono loro che mi hanno insegnato a riconoscere nei campi le erbe spontanee commestibili, gli asparagi selvatici, ... la rucola di campo, gli strigoli.

Si, quando ho scelto di tornare alla terra ero completamente ignorante in materia ma dopo aver studiato per anni tutt'altro, mi sono rimboccata le maniche ed ho cominciato a conoscere e a "studiare" l'agricoltura.

Da piccola con i miei genitori ed i nonni andavamo spesso alla fattoria di mio nonno a Reggello, dove ancora oggi ci sono i contadini. Mi appassionava la vita in campagna e andavo sempre a fare domande sull'orto e sui vari aspetti e sulle coltivazioni ai contadini.

Chi mi ha spinto molto in questa passione però è stata mia nonna. Lei ha sempre vissuto alla Rufina ed è stata anche in fattoria a Reggello. Non è mai stata una contadina, ma ha una grande passione per le piante, per i fiori .. e me l'ha trasmessa.

Per saper fare l'agricoltore poi però, ... ce ne vuole!

Ho fatto dei corsi per imparare a potare gli olivi e gli alberi da frutto.

Sono stata alla "fattoria dell'autosufficienza", a Paganico (Bagni di Romagna), per i corsi sull'agricoltura sostenibile, ne ho seguito uno sull'orto sinergico. Una tipologia di orto che si basa sul principio che le piante si aiutano da sole se combinate in un certo modo. Questo è un concetto un po' diverso rispetto a quello dell' agricoltura tradizionale che mi interessa molto. Man mano ho capito dove posso portare la mia azienda, infatti intendo seguire gli insegnamenti della tradizione, ma anche condurre la mia azienda su una strada nuova. 

Seguire le indicazioni di chi qui lavorava e conosce questa terra, ma anche seguire una mia strada.

Continuo ad essere in contatto con i contadini che vivevano in questa fattoria e ogni tanto vado a Reggello, soprattutto quando c'è la vendemmia. Sono bei momenti, è una gran fatica, però si riesce a capire tante cose e conoscere persone diverse da quelle che si conoscono in città.

Sono persone che comprendo e con cui mi trovo subito. Sono un po' come dei nonni per me. Una volta c'era una signora, penso di oltre 85 anni, che era lì sotto il sole e ci portava l'acqua, con fatica, con tutte le bottiglie piene in un cesto pesante, ma la portava. Sono esperienze che appaiono molto distanti dal comune, le ritengo utili e formative, anche per i più giovani.

Adesso però ho meno tempo. Con l'azienda agricola e l'agriturismo il lavoro è aumentato ed è abbastanza complesso. L'agriturismo può esserci solo se c'è l'azienda agricola ed occorre che sia prevalente l'attività agricola rispetto a quella dell'accoglienza.

Prima o poi dovrò assumere qualcuno e comprare un trattore. Solo con un motocoltivatore non si potrà tenere tagliato tutto il campo quando tutte le terre saranno di nuovo disponibili.

Nell'agriturismo utilizzo il mio olio, i miei prodotti, quelli della Val di Sieve, quelli delle altre aziende agricole di zona, così le aiuto. 

Nell'agriturismo si devono utilizzare solo prodotti toscani e possibilmente della zona 

Posso comprare i prodotti dalla Vicas di Pontassieve, questa cantina sociale ha aperto una attività aggiuntiva, quasi fosse una piccola associazione, dove i diversi agricoltori possono mettere in vendita i propri prodotti. Sono certa che sono di zona, prendendoli lì. 

L' apertura di questa specie di spaccio per la vendita dei prodotti penso abbia dato una grossa mano ai piccoli coltivatori.

Ci vorrebbero più iniziative di questo tipo per l'agricoltura! Non l' iter burocratico infinito ed assurdo in cui mi sono trovata chiedendo i finanziamenti.

L'idea della Comunità Europea di dare i finanziamenti a fondo perduto è bellissima. Con questi fondi volevano evitare l'abbandono delle campagne e favorire il ricambio generazionale. Giustissimo, basta vedere i contadini attuali, sono tutti oltre l'età della pensione.

Il vero problema è che per ricevere questi finanziamenti ti fanno passare attraverso una burocrazia veramente estenuante. Se non avessi avuto la fortuna di avere l'appoggio della mia famiglia non avrei proseguito.

Quando decisi di aprire l'azienda i miei genitori, che avevano l'età di andare in pensione, si dedicarono completamente a me, ad aiutarmi in questa scelta. Tutti i miei familiari erano stati affezionati a questo luogo ma mia madre era in procinto di vendere. A fronte del pagamento di molte tasse, non c'era nessuna utilizzazione produttiva di questo posto. La situazione creava un grande dispiacere e, forse, questo fu decisivo per la mia scelta per il futuro. L'idea di dover vendere spiaceva a tutta la famiglia, compresi i nonni.

Per me è stato un grande investimento, ma lo è stato anche per tutta la famiglia. E' divenuto un grande obiettivo, che mi ha visto in accordo con i nonni e con i fratelli.

Cristiano è un ingegnere meccanico, Giacomo lavora a La Spezia nel settore ambientale in Confindustria. Loro mi hanno supportato tanto, tanto, anche con le loro competenze. Senza di loro, tutto questo complesso iter burocratico dei finanziamenti, mi avrebbe fatto demordere.

I miei fratelli vengono spesso a trovarmi a "La Fontaccia".

Vengono anche i miei amici. Molti di loro conoscevano questa terra perché partecipavano alle nostre feste di compleanno che organizzavamo qui fin da piccoli.

Qualcuno di quegli amici però non si è reso ben conto di cosa volessi fare quando decisi di fare "l'imprenditrice agricola". Dal loro punto di vista ciò equivaleva solo a: "essere una contadina".

Se racconto del mio lavoro, mi guardano ancora in modo un po' strano e m'immaginano solo a zappare la terra. E' anche così ... ma non è solo questo!

Alcuni dei nostri amici vengono in fattoria per eventi privati tipo festeggiare i loro compleanni.

All'inizio mi facevo molti più problemi sul fatto di poter continuare a vedermi con loro, a fare teatro e continuare a coltivare i miei diversi interessi. Pensavo fosse tutto più difficile essendomi allontanata dalla città. In realtà se c'è la volontà non ci sono ostacoli e posso vivere qui o da altre parti. Siamo a 25 km da Firenze e non mi faccio molti problemi a scendere in città, andare a teatro, al cinema, in treno o in macchina.

Anche se non siamo tanto distanti dalla città, alla Rufina c'è solo un piccolo teatro e un circolo ARCI, non è molto e comunque non rientra nelle attività che avevamo sempre svolto.

All'inizio pensavo fosse molto più difficile continuare a coltivare i miei interessi, adesso poi, con l'avvio dell'agriturismo (al termine della ristrutturazione avremo 12 posti letto: 3 camere e due appartamenti) intendo dare la possibilità agli ospiti di approfondire gli aspetti culturali legati alle filiere dei prodotti di fattoria. Ritengo sia un ruolo proprio dell'agriturismo, ospitare persone che amano capire una realtà che oggi sembra distante.

Ci sono molte cose difficili da conoscere e capire e oggi giorno anche da vedere, per chi vive tutta la vita in una città.

Lo so, lo ci sono passata.

Ci saranno per i miei ospiti molte proposte per camminare, provare, sentire e anche stimoli per odorare, vedere, assaggiare e annusare, nell'orto delle erbe aromatiche!

Per i bambini che vengono qui sono spesso odori sconosciuti.

La lavanda magari è un po' conosciuta, ma il rosmarino, la salvia, sono piante che si usano sempre, eppure i bambini, difficilmente ne hanno vista una e ne hanno colti i rametti.

Ho visto alcune favolose fattorie didattiche che accolgono scolaresche. I bambini scoprono in fattoria il pollo: che ha le gambe, le piume e che è un animale vivente. Vedono gli animali disegnati sui libri, ne conoscono il verso ma non lo saprebbero riconoscere dal vero. Dare un volto, capire da dove provengono le cose, come il percorso dei cibi che si mangiano. Vedere un pulcino, un asinello, una mucca. Tutte cose normali fino ad una generazione fa, ma oggi rare.

Un altra scoperta è stata la presenza di animali selvatici. Ci siamo resi conto di conoscere molto meglio la gazzella della savana africana piuttosto che il capriolo che ogni mattina troviamo davanti alla nostra finestra.

Mi piacerebbe avere un orto per noi ed uno per i nostri ospiti a "La Fontaccia", in cui possano fare ortoterapia. Scoprire ma anche piantare, curare le piante e far loro riconoscere che ciò li fa star bene. 

E' vero che è faticoso lavorare la terra ma è anche una cosa che ti aiuta a stare bene, in realtà poi la fatica è soprattutto un fatto mentale, si tratta quasi sempre di convertire le energie; la campagna è una palestra per mente e fisico, che non richiede abbonamenti.

Prima, con un ritmo di vita diversa, non mi rendevo conto.

Ora, sotto i miei occhi vedo il lavoro che faccio e noto i cambiamenti nelle mie mani. 

Anni fa c'erano rovi ovunque. Adesso l'olivo, il ciliegio stanno crescendo, si vedono, sono percepibili i cambiamenti giorno per giorno ed è un piacere vedere che un posto non viene abbandonato, un piacere che penso sentano anche i tanti giovani che hanno intrapreso una strada simile alla mia.

Mi sono accorta, seguendo i molti corsi che ho fatto, che attualmente ci sono tanti giovani su questa strada. Penso sia una scelta voluta e consapevole anche la loro.

Ritengo sia un bisogno di tornare alla terra, importante e non legato esclusivamente ai soldi. .. 

Certo spero di vivere con il lavoro che faccio, ma non è quello il mio primo scopo. Non mi è sembrato primario neanche per gli altri giovani incontrati. Non è un ritorno all'agricoltura per sedersi sulla poltrona dalla ricchezza!

Questa mi sembra una bella cosa, vuol dire che ce n'è veramente bisogno.

Dagli anni '80 c'era stata una grossa perdita, non c'è stato passaggio delle conoscenze e dei valori, un danno ancora più ampio delle terre abbandonate.

I vecchi contadini tornano qui con le lacrime agli occhi, ricordano tempi importanti della loro vita, le serate nell'aia, quando facevano il pane per 20 persone e tenevano il forno sempre acceso.

Ritrovare quell'ambiente e vedere che tutto non è lasciato andare, crea loro forti emozioni.

Il forno è lo stesso di allora, ha due metri di diametro.

Ho imparato a fare il pane e viene buono, mi piace! D'estate si fa la pizzata con gli amici, ho fatto i fagioli al fiasco e il castagnaccio.

La scorsa estate abbiamo organizzato con il gruppo che si occupa di ritrovare i canti e i balli delle tradizioni rurali della Valdisieve, "La Leggera", una serata sull'aia a cantare e a ballare la quadriglia.

Quando mai ti capita di ballare la quadriglia!

Un'esperienza che, spero, ci farà ricordare positivamente anche dai nostri ospiti.

A loro, oltre al piacere di godersi la natura, posso far provare il forno a legna e il lavatoio, spiegare a cosa serviva il silos ...

Una cosa che ai turisti piace tantissimo è la sfilata del "Carro Matto". Si tratta di una tradizione che si tiene durante il periodo del "Bacco" della Rufina, l'ultima domenica di settembre.

Il giorno prima, il sabato, con mio zio si va a portare i fiaschi di vino della sua cantina davanti al sagrato del Duomo per la benedizione e poi fino all'arengario di Palazzo Vecchio per "L'Offerta del vino", in corteo e con tutti i fiaschi impilati sul carro come facevano una volta.

Era l'unico modo per portare grandi quantità di vino in città. Vengono impilati tutti questi fiaschi di vino nel carro trainato dalle chianine. Se ne portano più di 2000 così. E' un arte impilarli, perché basta pochissimo per far cascare tutto ... ancora oggi lo fanno come lo facevano una volta.

L'anno scorso sono andata ad imparare a "fare il fiasco" con altre signore e ragazze, quindi ad imparare ad utilizzare la sala, per rivestire il vetro della parte esterna del fiasco; il rivestimento era una soluzione tipica contadina che serviva per far stare in piedi il fiasco, per proteggerlo e per mantenere fresco il vino.

Una volta la sala si raccoglieva anche lungo le rive della Sieve e c'era chi la raccoglieva come lavoro. Oggi nessuno si mette a guardare o a coglierla ,è difficile trovarla e viene importata dalle Filippine

Non è una cosa facile "fare il fiasco" e ancora oggi si usa la stessa tecnica d'impagliatura di una volta. L'anno scorso mi sono voluta cimentare nel fare da zero un fiasco.

Le signore che ci insegnavano lo facevano da quando erano piccole. In pochi minuti ne facevano uno perfetto. Io ne feci uno in un pomeriggio. E' una cosa difficilissima, la sala ti rovina le mani, è faticosa da sagomare. Però scoprire come si fa è stata una grande esperienza.

Oggi è soprattutto per turisti, nel senso che avere un fiasco interamente fatto a mano è una cosa che piace. 

E' una ricchezza conoscere persone che padroneggiano questi saperi pratici. Oggi le persone che hanno queste abilità sono quasi tutte anziane.

Domina ancora l'idea che fare un lavoro manuale sia un lavoro degradante.

Mi sono un po' scontrata su questo anche con la mia mamma e il mio babbo. La loro è una generazione che aveva visto il lavoro manuale come lo vedevano i nostri nonni: un lavoratore manuale era qualcuno che veniva da un altro livello. Era un contadino, un operaio, un manovale, ...

I miei genitori ci hanno spinto, sia me che i miei fratelli a studiare molto, giustamente ... Noi poi ci siamo ritrovati in un periodo dove tutto questo castello era crollato e non si trovava lavoro nel settore pensato per noi dai nostri genitori.

Ho visto la differenza con i miei fratelli, ... nel giro di pochi anni è stato sempre più difficile entrare nel mondo del lavoro. Ecco che allora ti trovi a cercare e fare scelte diverse.

Se oggi avessi una figlia non insisterei e non l'obbligherei a studiare se non dimostrasse di avere una passione per quello studio o quel lavoro.

La mia scelta è stata un po' controcorrente, ho dovuto far cambiare l'idea ai miei genitori che pensavano questo lavoro come un sacrificio per me. Da una parte è stata una gran cosa per rivalutare il nostro podere. Ma loro la vedevano come un sacrificio faticoso di cui mi sarei pentita in seguito, negli anni a venire. ... e non perché sono una donna, ma perché lavorare la terra viene visto tuttora come un lavoro di sacrificio. Oggi però qualsiasi lavoro ha aspetti di sacrificio, anche stare tutto il giorno davanti ad un computer è un sacrificio. Dipende dai punti di vista.

Non è come un tempo, quando era più semplice entrare nel mondo del lavoro. Oggi è un mondo difficile e devi fare per passione ciò che fai per poter proseguire.

La scelta di tornare nel mondo agricolo non si fa solo per se stessi e per i soldi. Si fa per il territorio, perché ami il posto in cui stai.

Ho viaggiato molto. Ho avuto questa fortuna negli anni passati e mi rendo conto che non lascerei mai tutto per andare a vivere all'estero, pur essendo oggi la scelta più facile, perché ho voluto investire nel mio territorio.

Si, l'agricoltura si sceglie anche per soddisfare un bisogno primario, ma coltivare la terra è coltivare qualcosa di buono, trovarsi fra le mani un qualcosa che hai fatto, che hai seminato, che hai raccolto, una cosa tua. ... che alla fine puoi anche mangiare. Sembra una cosa normalissima ma non lo è. Ti dà un gusto in più, ti dà soddisfazione.

Ecco, lavori perché ti dà soddisfazione.

A volte io e Samuele sembriamo un po' scemi, gioiamo per delle piccolissime cose. Riuscire a tagliare l'erba. Riuscire a mantenere un equilibrio. Come quando abbiamo finito il recinto e siamo riusciti ad evitare che i caprioli mangiassero le nuove piccole piante di olivo. Quando sono venuti i lupi.

Sono tutte situazioni che ti fanno capire quanto sia difficile ma bello stare in un posto del genere. 

Ti svegli la mattina, apri la finestra, senti gli uccellini, vedi il bosco, d'inverno senti freddo, d'estate stai al fresco in casa e fuori c'è caldo.

In città si dà per scontato il riscaldamento nei mesi invernali. A "La Fontaccia" un camino richiede molto lavoro e preparazione già dall’anno prima e negli ambienti non si raggiungono mai temperature tropicali: credo sia giusto così.

Da quando sono qui non mi sono mai ammalata, è più di un anno. Pare assurdo. È un caso particolare per me, ho sempre avuto il raffreddore tutto l‘anno. Probabilmente sentire un po' il freddo d'inverno, stare un po' senza giacca, il lavoro all'aria aperta, da benefici.

All'epoca del babbo del mio nonno, negli anni '30 del Novecento, ci fu la divisione nella famiglia Grati in due cantine diverse, divennero "Cantina Grati" e cantina "Le Coste".

Alla generazione successiva la cantina "Le Coste" passò a mio zio.

La cantina Grati era collocata in Montebonello, di là dalla Sieve. Ci lavoravano due fratelli e due sorelle, il babbo di mio nonno lavorava in cantina e suo fratello maggiore teneva i rapporti con i clienti andando spesso anche in città.

Il babbo di mio nonno ad un certo punto si senti male e fu consigliato, per la sua salute, di lasciare il lavoro in cantina, si trasferì così alla fattoria di famiglia a Reggello lasciando la Cantina Grati. 

Un po' di anni dopo prese un terreno alla Rufina ed aprì la sua nuova cantina che chiamò "Le Coste".

Iniziò a produrre di nuovo vino ed ebbe successo. Nel tempo la cantina è passata a mio nonno, poi a mio zio Giuliano ed è ancora aperta.

A "La Fontaccia", che appartiene alla mia famiglia dal 1916, le vigne furono tolte con il finire della mezzadria. Questi terreni rappresentano l'eredità che da mio nonno è passata a mia mamma. 

La produzione più consistente di vino è riferibile alla fattoria di mio nonno a Reggello. Collaboro con questa fattoria e con la cantina di mio zio, vendo il loro vino nell'agriturismo e quando ci sono eventi dò un mano.

Auspico che si sviluppi di più la collaborazione in tutta la Valdisieve e maggiormente tra gli operatori agricoli e dell'accoglienza della zona. Ciò nell'intenzione di rafforzare l'immagine e l'appetibilità della nostra zona, magari facendo più gruppo nel dare forza ad un marchio d'area e uscendo un po' dal campanilismo e dalla forte concorrenza che ora contraddistinguono i rapporti tra gli operatori.

Anche mia cugina, sta studiando per prendere in mano l'azienda vinicola del padre. Studia Economia e Commercio. Siamo da questo punto di vista avvantaggiate. Ci è stata data la possibilità di studiare, e di capire meglio come poter portare avanti il lavoro scelto. In fondo è quasi una tradizione familiare da continuare. 

Nei miei ricordi e in quelli di famiglia si sono avuti periodi con diversi gradi di considerazione del ruolo delle donne legato al lavoro.

Nella famiglia di mio nonno e nella famiglia del babbo di nonno, le donne non erano allo stesso pari, era l'uomo che mandava avanti la famiglia. Sicuramente era una concezione patriarcale e il ruolo delle donne era tipico di quel sistema. ... Cosi me lo ha raccontato mia nonna.

Differenze sostanziali si vedono nelle tre generazioni successive: quella di mia nonna, quella di mia mamma e la mia.

Mia nonna, è del '27 e quando conobbe mio nonno studiava, era una delle poche donne iscritte alla Facoltà di Farmacia. Quando si fidanzò con lui, i suoi genitori decisero che era meglio tornasse a vivere alla Rufina, dato che non era visto bene che vivessero così lontano. Anche mio nonno stava infatti a Firenze. In seguito la nonna abbandonò quella strada ed ha sempre vissuto alla Rufina con mio nonno.

Mia mamma, è del '51 si trasferì a Firenze in età delle scuole superiori, frequentava il Michelangelo.

Si iscrisse anche lei alla Facoltà di Farmacia. Le sue scelte furono diverse da sua madre ed andò a vivere a Firenze. Decise di insegnare alle superiori e stare più vicina alla famiglia pur avendo vinto un concorso per aprire una sua farmacia nel Valdarno.

Io, al contrario, sono tornata alla Rufina a ricostruire la nostra campagna.

Mi ritengo fortunata, oggi nel giro di poche generazioni è cambiato molto anche il punto di vista del pensiero femminile, quello delle donne di se stesse, oltre che il modo di pensare maschile verso quello femminile.

Vedo una netta differenza nei rapporti, nei modi di fare e di essere di queste coppie nel tempo.

Confronto i miei nonni, poi i miei genitori e adesso mi vedo con Samuele.

Io e Samuele siamo alla pari, per ogni piccola cosa che facciamo ci consultiamo e non ci sono superiorità ne di ruolo ne di pensiero. Siamo in parità.

Ognuno ha le sue debolezze. 

Delle differenze ci sono anche nei lavori in azienda. Ci sono cose che io non riesco a fare per troppo tempo, tipo usare il motocoltivatore e che fa lui perché ha oggettivamente più forza. Ma questo non avviene, non lo fa e non lo deve fare perché è un uomo.

Diversi sono i rapporti di coppia e nette le divisioni tra i due sessi nelle coppie dei miei genitori e dei nonni.

Confronto le differenze che caratterizzano queste persone, il lavoro che hanno fatto, i ricordi che mi hanno trasmesso e le ringrazio fortemente, soprattutto i miei nonni. Sono convinta che le radici sono importanti e necessarie per andare lontano.

Capire da dove si viene è veramente importante e di questo sono fortemente grata ai miei nonni e non li ringrazierò mai abbastanza.

Mi hanno fatto capire le mie origini e sono riusciti a trasmettere molto a coloro che sono venuti dopo di loro.

Oggi, senza il loro aiuto sarebbe stato tutto impensabile. Grazie a nonno Antonio, a nonna Renza,

a nonna Giulietta e a nonno Brunetto che dal 2000 non c'è più.

Spero di poterlo passare a qualcun altro, un giorno, tutto quello che conosco e che sto imparando, come hanno fatto i miei nonni con me.

Quello che stiamo cercato di ricostruire spero di riuscire a farlo apprezzare ai miei figli, ma se volessero tornare ad abitare a Firenze, li comprenderei.

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