NON FOSSE PER L'ENERGIA CHE SI CONSUMA PER RIPARARE AI DANNI DELLA FURBIZIA!

Storia di Mariangela Tobbia
A cura di Grazia Perini


Mi presento: mi chiamo Mariangela Tobbia ed ho 37 anni, cioè sono nata nel 1980. I miei genitori sono di Trapani e vennero in Toscana negli anni '70 a studiare e lavorare. La prima casa che ricordo è quella di Molinlaura a Molin del Piano, frazione di Pontassieve dove poi abbiamo abitato. Ho, quindi, iniziato a studiare prima a Pontassieve poi a Firenze, poi a Perugia e infine in vari paesi europei e non. Ho un dottorato di ricerca che qui corrisponde a scienze politiche. Sono ufficialmente una ricercatrice e professoressa universitaria specializzata in criminologia, immigrazione clandestina e terrorismo. In Italia ho conseguito la laurea in Filosofia, poi ho deciso di continuare fino al dottorato di ricerca, poi mi hanno detto che ad un certo punto della vita, bisogna pur iniziare a lavorare e allora ho deciso di rimettermi a studiare altra roba diversa (più matematica e scienze meno umane della filosofia), ma lo so che prima o poi mi toccherà anche lavorare per davvero.
In Italia ho lavorato diversi anni. A partire dai 17 anni ho fatto: la cameriera in un Pub a Perugia, dove studiavo filosofia; cuocevo gli hamburgers anche se ero già vegetariana, ed è stato il lavoro più bello; fare la cameriera ti insegna la gestione dello stress ed a lavorare sotto pressione con “deadline” molto veloci (non é che alla gente puoi dare da mangiare tanto in ritardo)... anzi, il lavoro più bello che ho fatto in assoluto è stato con Gaetano Carducci (ndr - maestro/direttore di una locale scuola di teatro per ragazzi). Il teatro, tecnico di teatro, io non facevo altro... e anche male! Ma è quello che mi ha insegnato di più in assoluto, credo! Noi viaggiavamo in giro per l'Italia ed io in pratica dovevo sistemare tutti i pupazzetti, i gonfiabili e tenerli con i ventilatori etc. ed è abbastanza importante perché se sbagli e parte un ventilatore questi gonfiabili con i bambini sopra cadono... e mi è anche successo, una volta che l'avevo montato male; mi sono rotta un dito per tenerlo e limitare i danni. Gaetano infatti me lo diceva sempre "voi filosofi non siete buoni a nulla" e tutte le volte doveva ripassare e rifare il lavoro lui. Mi ha insegnato la responsabilità, il lavoro di squadra, la reale e concreta possibilità di lavorare divertendosi ed amando ogni minima cosa del lavoro. Mi ha insegnato che davvero, quello che conta, é il viaggio più che la meta (perché i viaggi che facevamo in camion erano spettacolari, di più non posso dire perché devo mantenere il segreto di combriccola ed il giuramento Unicum che abbiamo siglato). Non eravamo boni, però ci aveva preso tutti e ci teneva, quando andavamo via per lui era un dispiacere.

Poi ho fatto la 'commerciale' al Bisonte, che è una pelletteria famosa in tutto il mondo; 'commerciale' sono quelli che hanno a che fare con i clienti, passano gli ordini, vanno nelle fiere, anche all'estero. Poi ho lavorato per un'azienda di pubblicità di Firenze e lì ero P.A. cioè personal assistent dell'amministratore delegato, cioè praticamente lui mi diceva che cosa voleva fare con i clienti e io seguivo i clienti per lui e anche lì ho viaggiato abbastanza. Per un periodo sono stata via anche un mese perché c'era un accordo tra la Juventus e lo sponsor New Holland, che è una ditta che fa trattori (infatti in un periodo la Juve aveva la scritta New Holland sulle maglie). Poi, purtroppo, ho dovuto seguire anche la campagna elettorale dell'UDC (non l'ho fatta io, giuro, ma ho dovuto seguire la parte del brand marketing...ossia come farsi conoscere da tutti, in pratica le matitine con il logo, le t-shirt con le scrittine, queste cosine qui), la Fiat, la Societé Génerale... e quindi il lavoro in Italia non mi mancava; io, appena tornavo in Italia, trovavo subito lavoro. Ho incominciato a viaggiare all'università, avevo 20 anni, e mi hanno obbligato a fare l'Erasmus, perché io non avevo alcuna intenzione di farlo. E' andata così: a Perugia avevo un compagno di Foligno e avevamo deciso di fare la famiglia ideale, tipo Mulino Bianco, poi mio padre mi ha detto: fai l'Erasmus, poi vedi! Poi sposati, fai quello che ti pare ma prima fai l'Erasmus." Io non lo volevo fare ma mi ha quasi obbligato, insistendo affinché io almeno facessi domanda per partire. Dopo l’Erasmus è un po' cambiata la situazione, chiaramente mi sono lasciata con il compagno e ho preso il volo.

L'Erasmus l'ho fatto a Dijon, in Francia, e sono stata una delle prima a partire. Il progetto Erasmus è della fine degli anni '90 e io sono partita nel 2001 Era uno dei primi anni che veniva messo in atto il progetto e non c'era scelta per la meta da scegliere; mi ricordo che c'erano due destinazioni, una era Amsterdam e tutti naturalmente hanno fatto richiesta per lì, con la motivazione del Museo di Van Gogh (perché te che stai facendo la tesi di laurea in filosofia, in medicina o in Scienze Politiche ti interessa il museo di Van Gogh!) e quindi li hanno rifiutati tutti. Invece, per Dijon nessuno aveva fatto richiesta tranne me ed altri 4 amici dei quali nessuno sapeva il francese; il problema era che c'era un test di lingua da superare per essere ammessi. Mi ricordo che durante questo esame un mio amico alla domanda "parli francese?" ha risposto "oui, je suis Catherine Deneuve", come la pubblicità dell'epoca, però c'erano 5 posti e ci hanno preso tutti e 5! Tra l’altro ora questo amico parla, oltre al francese correntemente, altre 3 lingue, é bilingue spagnolo, vive in Argentina dove ha preso una seconda laurea in economia, é ricercatore universitario ed é specializzato in Brigate Rosse (ha pubblicato anche in Italia su Toni Negri). Ormai é un professorone, ma per noi resta Catherine Deneuve.

Dijon è tutta a est, tra Svizzera e Germania, un freddo allucinante, la prima tempesta di neve l'ho conosciuta lì. A quel punto sapevo dire quelle 2, 3 frasi di francese, tipo "pas de viande"... perché avevamo la mensa, ma dopo la prima sera in cui ci avevano servito la pasta scotta con la mostarda di Dijon sopra, abbiamo deciso che non era il caso, quindi abbiamo provato ad andare al supermercato a prendere dei cibi pronti (tipo lasagne in scatola) ma non era il caso nemmeno quello e allora abbiamo iniziato a farci da mangiare al campus e anche quella è scuola. Funzionava così, ogni studente ha una stanza di 9 mq, una cella, giusto un letto, un tavolo e un armadietto dove non c'entravano nemmeno i vestiti e ognuno deve badarsi da sé. Erano i primissimi anni dell'euro e non si riusciva a capire quanto costassero le cose. L'università ci dava circa 150€ al mese, che ci sembravano tanti, lo Stato francese ci dava il 70% di quello che costava l'affitto della stanza che, essendo già pagata dall'Università, erano tutti soldi che potevamo tenere noi e il welfare francese ci dava altre 100-150 euro per cui riuscivi a vivere con 400-500 euro che all'epoca bastavano, tanto dovevamo studiare, mica andare in discoteca dove, infatti, non siamo mai andati. Ecco, lo stato francese ci dava dei soldi in quanto stranieri, migranti senza il becco di un quattrino come tutti gli universitari e a nessuno gli sembrava una cosa contro cui manifestare o per cui offenderci. Salvini ancora doveva arrivare. Le Pen (padre) era interessato ad altro.

Quindi ho finito l'università già con un bagaglio abbastanza interessante. All'epoca nessuno viaggiava così e non ho mai avuto problemi a trovare lavoro, sono stata assunta subito dal Bisonte che ho lasciato per andare alla Virgin a fare receptionist, forse perché semplicemente mi andava di cambiare, di andare a Firenze, di vedere un ambiente multinazionale... l'ho visto e dopo un anno sono partita per Londra perché volevo cambiare un po'. La scuola Virgin mi ha inseganto molto. Forse non tutto di buono, ma molto. Mi ha insegnato il modello di lavoro anglosassone, che poi é quello con cui ho avuto a che fare fino ad ora. Un modello assai lontano da quello che il buon Gaetano Carducci metteva in pratica. A Londra ho trovato lavoro dopo 3 giorni come receptionist in un hotel nel centro di Londra. Parlavo italiano e francese (poco) ma molto male inglese, e dopo 2 giorni già i clienti si sono lamentati di me, ovviamente, perché lo parlavo veramente male e loro mi parlavano in inglese stretto, quello vero, mica quello di “the cat is on the table”. Peggio ancora erano i builders, i muratori che lavoravano per fare delle migliorie nell’albergo e che venivano da Liverpool, con un accento forte! Io non ho mai capito cosa mi avessero detto ma annuivo sorridendo... magari ho autorizzato lavori che non erano previsti, chissà... A Londra ho imparato ancora molto sul modo di lavorare anglosassone e ho imparato a vivere in una megalopoli, con tutti i pro e i contro. Ho conosciuto per la prima volta un mondo davvero cosmopolita. Ho vissuto con persone di tutto il mondo e ho avuto modo di scoprire le bellezze e le problematiche di luoghi lontani in cui forse non riuscirò mai ad andare (l’India per esempio, il Nepal, o il Brasile). Avendo vissuto intensamente con persone di origine diversa, mi sembra un po’ come essere andata in vacanza, o aver vissuto, in quei luoghi. Quindi sono andata via dopo un po' per fare un giro più grande e sono andata a Dublino dove avevo già mandato qualche curriculum e mi hanno chiamata in un’azienda come customers service (dovevo seguire i rapporti tra la ditta a Dublino e l'Italia) ma è finita che non mi sono mai presentata perché mi sono presa una vacanza (dovevo risanare il cuore spezzato) e dopo un po’ sono andata a Boston a trovare amici.

Era febbraio, non avevo il Visto, non avevo vestiti adatti al Nord America, non avevo niente ma Boston rimane vicino a Montreal in Canada dove ho un fratello, Silvio. Mio fratello è ormai italocanadese, vive lì da 13 anni. Ha due passaporti, una moglie e due figli, lavora nel campo delle traduzioni, credo sia manager in un'azienda che si occupa dei foglietti-istruzioni dei medicinali. Sono andata a trovarlo e gli ho detto: "ma voi siete grulli a vivere qui a -30 gradi, ma siete matti??! Febbraio è freddo in Canada!!" Son tornata in Italia e una settimana dopo ero a lavorare in quella agenzia pubblicitaria che ho detto, dove sono rimasta due anni e poi l'agenzia ha chiuso perché è scoppiata la crisi e a quel punto, dopo una bruttissima esperienza di lavoro per un’azienda di Rufina, ho deciso di rimettermi a viaggiare (siamo nel 2009) e sono tornata in Canada, sperando che l'estate fosse accettabile!

In Canada, dopo 6 anni di vita lì, posso dire che non è facile né entrare né restare. Dal punto di vista burocratico prima cosa; io ho fatto parte, soprattutto negli ultimi due anni, di un gruppo che cercava di aiutare gli italiani a capire come funzionava il Canada prima di mollare tutto e andare. Perché sentivo sempre più spesso, specie su Facebook, di gente che diceva "ah, qui in Italia non funziona niente, io mollo tutto e vengo in Canada". Gente che ha lasciato casa e lavoro per arrivare in aereo e ritornare con il primo volo perché non è che proprio i canadesi ti aspettino con il tappeto rosso ed i petali di rosa. Io sono entrata per la via più facile, cioè ho fatto un visto di lavoro/vacanza e con questo visto non ci sono limiti, puoi lavorare e spostarti come ti pare. Ovviamente sei tenuto a dimostrare di aver pagato un’assicurazione medica privata (che io ho pagato mi pare all’epoca intorno ai 400 euro), di avere abbastanza soldi per poter tornare a casa e di non dover gravare sullo stato canadese, ma, una volta dimostrato tutto ciò, puoi fare quello che ti pare (lavorare, viaggiare), ci sono però un paio di limiti: dura sei mesi, non lo puoi fare oltre i 30 anni di età e ci sono solo 500 posti l'anno; quando io sono andata, avevo fatto la richiesta ad agosto e c'erano ancora circa 300-400 visti disponibili, adesso so che per fare la richiesta dicono qual è il giorno e dopo 2 ore non ci sono già più posti disponibili, ormai è diventato un lotto. Nel frattempo avevo mandato @mail a diversi professori universitari dicendo "Io ho questa idea di ricerca, se interessa ne possiamo parlare". E l'avevo spedita in Canada, in Inghilterra, in Svezia e in Olanda. L'idea proposta, all'epoca, era sul cercare di capire il meccanismo della memoria traumatica nelle seconde generazioni. In pratica, prendiamo la seconda guerra mondiale, ci sono gli aguzzini e le vittime e loro hanno una memoria indelebile e quella la sappiamo e l'abbiamo studiata, ma quello che mi interessava è come questa memoria, che spesso rimane silente, passa in qualche modo alle seconde generazioni, cioè se il senso di colpa della vittima e dell'aguzzino, esiste in qualche modo conscio o inconscio nelle seconde generazioni e come questo viene fuori a livello sociale. In Svezia mi hanno accettata subito però mi hanno detto che dovevo parlare svedese (le domeniche passate a Ikea non valevano come corso di lingua ufficiale, purtroppo). Mi pagavano 3 anni di scuola di lingua (corso + università) e dopo iniziava il progetto. Potevo lavorare se volevo (perché anche poter lavorare nei posti stranieri non è proprio scontato), ma nella mia idea, aspettare due anni per il mio progetto, lavorando e studiando, mi pareva difficile, quindi l'ho esclusa. In Olanda mi hanno chiesto la stessa cosa, almeno con la lingua tedesca, che non so; in Inghilterra mi accettarono pure, a Salisbury, che è un'università eccellente, dicendomi "Noi siamo un'università seria, per cui lei non può lavorare oltre la sua ricerca; noi le paghiamo il costo dell'università annuale - che è 24000 pounds - però non le diamo altro e se la scopriamo a lavorare, possiamo espellerla". E io mi dicevo: 'se non posso lavorare come campo'? Invece, in Canada all’Université de Montreal mi fecero un sacco di promesse: "lei viene qui, non si preoccupi, l'università la paghiamo noi, paghiamo la ricerca, che facciamo subito come in Inghilterra però paghiamo." Quindi, l'università costa 18000 dollari l'anno, e poi diamo 5000 dollari per trimestre, in teoria 15000 dollari l'anno, e ho accettato. Quindi sono arrivata con un visto per cui potevo lavorare, l'università mi dava la possibilità di lavorare a tutti i progetti che avessi voluto, ma, in pratica, le cose sono andate diversamente perché il professore con cui avevo parlato all'inizio aveva dimenticato le promesse fatte (come a me anche ai miei colleghi), infatti dopo due mesi sono arrivati a chiedermi i 18000 dollari per l'iscrizione. Al che ho detto "ma non erano pagati? -No, il professore si è dimenticato di dircelo... -Ma io allora vado via perché 18000 dollari non li ho." Siamo arrivati al compromesso per cui loro hanno pagato 10000 dollari e 8000 li ho dovuti mettere io e i 15000 dollari l'anno si sono trasformati in: il primo anno 7000, il secondo anno in 5000 e dal terzo anno niente. Io, naturalmente, ho lavorato da subito, trovando immediatamente lavoro grazie a questo visto, e ho lavorato come tester di video giochi, che io non avevo mai visto in vita mia!

E' stata un'esperienza abbastanza traumatica, mia madre è ancora scioccata, poi ti dico perché! Prima di tutto ho dovuto imparare a giocare e siccome parlo di quelli famosi (il primo su cui ho lavorato era Il Signore degli Anelli), non é proprio immediata la cosa per qualcuno che non ha mai preso in mano 'sti cosi. Allora, siccome ero proprio una schiappa, ad un certo punto mi hanno messo a fare dei lavori noiosissimi per tutti ma che a me riuscivano: le traduzioni, non solo delle istruzioni al videogame ma anche di quello che i personaggi dicono, oppure, e questo era noioso anche per me, le verifiche dei marchi (in pratica dovevo vedere se, facendo azioni inusuali, tipo togliere la presa della corrente a gioco attivo, i loghi si vedevano bene ed erano scritti secondo le disposizioni delle case editrici). Fra gli aspetti negativi di questo lavoro (sottopagato assolutamente, tipo 7 dollari l'ora), ci sono gli orari ed i turni. Spesso, soprattutto durante l’estate per poter far uscire i giochi in tempo per Natale, ci facevano fare dei turni di 12 ore. C'era anche chi ne faceva 16, ma io non ce la potevo fare, specie a fare la verifica attiva del gioco, ma gli altri le facevano; ora, precisiamo che in nessun posto dove io ho lavorato esistono i diritti del lavoratore come in Italia, non c'è un contratto nazionale del tester di videogames. In Canada il contratto è verbale. Per i videogames (o per le grandi organizzazioni) avevo firmato un foglio scritto, ma per tutti gli altri lavori vale quello che abbiamo detto. A nessuno viene in mente di dire che gli accordi erano altri, viene stabilito un prezzo e un orario e quello è. Noi eravamo tutti freelance, cioè a chiamata e ti potevano chiamare tranquillamente alle 7 per le 8 e te praticamente ci andavi in pigiama perché Montreal è grande! La malattia non esiste, non solo, ma funziona che se ti chiamano 3 volte e te non vai, ti licenziano, o meglio di fatto smettono di chiamarti. Paghi il diritto di andare in bagno 10 dollari nel senso che compri la chiave del bagno, mangi davanti al computer, hai una pausa di 5 minuti a metà mattinata e a metà pomeriggio però stiamo parlando di turni di lavoro di 12-16 ore. Poi devo dire che io mi sono anche molto divertita e ho incontrato persone a cui mi sono molto legata, come Marco, un romano che parla francese con un fantastico accento di Roma Sud (gestualità inclusa) o Guillermo, un ragazzo messicano che amava vestirsi da catwoman o da da Kill Bill (e quanto era figo con quei vestiti). Ora, i videogames si giocano a squadre linguistiche, cioé formate da un tester italiano, un tester francese, uno spagnolo, uno tedesco, uno portoghese etc etc. Una volta, mi ricordo, misero me e un tedesco a testare un videogame fatto con il riconoscimento dei movimenti (si parla di 6 anni fa, era nuovo). Questo gioco per essere acceso richiedeva che il giocatore si mettesse in piedi davanti allo schermo, alzasse il braccio teso verso l’alto e poi lo abbassasse un po’...Insomma...il saluto fascista...Immaginate voi un’italiana e un tedesco che devono mettersi davanti ad uno schermo e fare il saluto romano...ci siamo guardati, abbiamo riso e abbiamo iniziato. Mentre facevamo il “saluto romano” é entrato il manager francese...capirai quello é sbiancato a vederci e ha detto solo “italiani e tedeschi insieme non vi dobbiamo mai mettere vicini!”. Poi c’erano anche momenti difficili da accettare. Ricordo una volta che stavamo testando un gioco musicale chiamato Guitar Hero e non ne potevamo più, erano veramente 16 ore di testing del gioco (che non significa giocare come ti pare ma stare sullo stesso punto del videogame per trovare un errore, quindi è veramente distruttivo) e il collega che lavorava sullo spagnolo, un messicano, disse "basta, ho veramente bisogno di staccare un po', non ce la faccio più" e il manager gli disse "se non ti sta bene torni in Messico" perché se non lavori non hai il visto; e quindi stai lì in un lavoro che è veramente da schiavi. E non è nemmeno da dire che in situazioni stressanti si renda di meno, la resa è massima perché vieni licenziato molto facilmente, la gente dà il massimo di sé stessi in ogni occasione perché perdere il lavoro è un attimo. Ma la cosa divertente dei videogames è stato che a un certo punto ho dovuto tradurne uno porno, non è stato difficile, ma ho imparato una serie di parolacce in inglese! Non ho mai visto il videogioco che ho dovuto solo tradurre, purtroppo è online con il mio nome tra i credits... e mia madre è disperata! 

Questo l'ho fatto per due anni e gli italiani devono sapere chiaramente che andando a lavorare all'estero nessuno ci aspetta con un assegno in bocca e il tappeto rosso, devi dimostrare di avere una carta di credito con i soldi e di volerti inchinare e ringraziare per ogni calcio in bocca che ti arriverà. Ora, non è che non ci siano gli illegali in Canada, ci sono quelli che si chiamano letto caldo. La regione del Quebec, dove sta Montreal, è una regione estremamente cattolica, del tipo che i preti 30 anni fa andavano nelle case delle persone a vedere se la moglie era incinta e se non lo fosse, chiedevano come e perché. Quindi si parla della generazione anche mia, che hanno anche 10-11 fratelli e ci sono chiese a ogni angolo della strada che sono tutte brutte, tutte uguali, ma veramente tantissime e ormai praticamente vuote ed abbandonate. Sotto alcune di queste chiese ci sono i clandestini che pagano per il posto letto a chi organizza il traffico clandestino. Si chiama “letto caldo” perché sono dei dormitori veri e propri, quelli che lavorano di notte dormono di giorno e quelli che lavorano di giorno dormono di notte, quindi trovano il letto ancora caldo. Per cui esiste una immigrazione clandestina in Canada! Questa è una situazione che ho conosciuto ma ce ne sono altre, gente che finisce il lavoro e non se ne va perché poi non puoi più rientrare, lavorano a nero e la sanità te la paghi, tanto, se vuoi, è tutto privato. Cioè c'è il welfare pubblico ma per i canadesi, io avevo una copertura assicurativa di 1400 dollari l'anno e avevo accesso all'ospedale ma se non hai niente paghi il medico, paghi le medicine, poi ci sono anche i documenti falsi... basta pagare, ma restano lì. Io che quando sono arrivata avevo un visto di lavoro, all'aeroporto ho fatto un colloquio di un'ora e mezzo con l'immigrazione. Hanno voluto vedere tutti i documenti che avevano già sul computer, hanno chiamato l'università per sapere se erano documenti falsi, sono abbastanza attenti. Devi dimostrare che hai i soldi, che hai l'assicurazione medica. I consigli li davo su Facebook, ci sono dei gruppi come Italiani a Montreal, Immigrati del mondo, dove la gente scrive che siamo fortunati in Canada. Non è proprio così, ci sono delle cose migliori e altre peggiori ed entrare non è così facile, anche trovare lavoro non è così facile. Io dopo aver lavorato nel gruppo dei videogames ho iniziato a lavorare come cassiera in un negozio di alimenti italiani, non biologico ma classico, Colussi, Galbani, Barilla, che lì è il top del top anche se li fanno a New York e dentro c’é di ogni... e lì avevo un contratto orale, mi pagavano 7 dollari l'ora per 8 ore al giorno. In piedi, alla cassa, senza cappotto. Ora, la cassa è sempre vicino alla porta, con le porte che si aprono e chiudono quando fuori si arriva anche a -30! Lì ci dovevo andare anche malata perché era il periodo in cui dovevo pagare l'iscrizione all'università (che 6 mesi dopo mi avrebbero restituito, però, intanto la dovevo pagare): quindi non è facilissimo trovare un buon lavoro, trovi quello che c'è e pagato quello che è, non è che ti dicono 'vuoi fare l'ingegnere o gradiresti di più un lavoro come diplomatico internazionale? O preferisci re dell’universo?' Per trovare un lavoro buono ho dovuto aspettare 3 anni e nel frattempo ho fatto qualunque cosa, senza lamentarmi mai e sempre ringraziando (cosa che qui in Italia mi pare manchi un po’ nelle generazioni giovani). Intanto ho cominciato a lavorare al progetto di ricerca, cioè prima ho dato 5 esami in francese che erano obbligatori. Nel frattempo, siamo al 2010, era scoppiata la primavera araba e io ho deciso di cambiare progetto e ho deciso di lavorare sulla giustizia di transizione cioè sulle transizioni politiche da un governo non democratico ad uno che, in teoria, dovrebbe essere democratico; ho cercato di capire come funziona questo momento della storia di un paese perché sostenevo, e ormai é evidente ai più, che sia in questo periodo che si sviluppano tutta una serie di fenomeni estremamente importanti come per esempio il terrorismo e l’emigrazione di massa (che é un’emorragia importante per il paese di partenza ed una ricchezza incredibile per il paese di accoglienza, mettiamolo subito in chiaro). Per cui ho iniziato a studiare il terrorismo, l'immigrazione clandestina e il rapporto tra le transizioni da un governo dispotico a uno democratico. Secondo me queste cose erano legate, adesso è evidente, 6-7 anni fa non lo era. All'epoca richiedeva un po' di coraggio adesso anche di più e comunque dovevo mangiare e quindi sono andata anche alla cassa dei supermercati!

Poi ho iniziato a lavorare come ‘giornalista’ (le virgolette sono d’obbligo perché non faccio parte della categoria, non sono iscritta all’albo e quindi non lo sono di fatto) ed ho perso il lavoro per un capriccio del mio boss (una sorta di scommessa fra colleghi)! Pensa quanto è facile perdere il lavoro lì! 

Fondamentalmente ero un anchorman, quello che racconta le notizie alla radio. Ora, lì non esiste l'albo dei giornalisti e lo potevo fare, qui no. Erano contentissimi del mio lavoro. Le direttive erano di cominciare con le notizie locali, quello che succedeva a Montreal (e con quelle si finiva presto) poi con le notizie regionali, quello che succedeva nel Quebec, poi si andava al Canada, Stati Uniti e nel mondo. Ogni radiogiornale durava 3 minuti, ogni mezz'ora, o ogni ora, a seconda del turno e raccontavi quello che era successo, se era morta una personalità, se c'era un capo di governo da qualche parte; io ogni tanto ci mettevo qualche notizia di quelle che mi piacevano, sull'immigrazione etc. ma lo facevano in pochi perché la paura di perdere il posto impone il trend di essere più anonimi possibile per non essere riconoscibili e potenzialmente essere buttati fuori, tranne quelli che volevano spiccare e fare il giornalista a vita. Insomma, un giorno il capo mi chiama e mi dice "guarda, finito il turno sali su un attimo, per favore". Ok, finisco il turno e vado su e mi dice "guarda, purtroppo oggi è il tuo ultimo giorno di lavoro, quindi puoi prendere le tue cose e te ne puoi andare". Sono rimasta talmente allibita che gli ho chiesto 'Ma c'è qualche problema?' "Sì, guarda è il tuo ultimo giorno, te ne puoi andare". Io zitta, allibita perché fino a due minuti prima mi parlavano di progetti che avevamo in corso. Ho preso le mie cose e me ne sono andata e giorni dopo ho saputo che il capo aveva promesso, fra una birra e l’altra, di dare il mio posto al compagno di un collega, solo che questo non sapeva fare niente e dopo qualche tempo mi hanno richiamata. Ma in Canada è così, è veramente facile e immediato perdere il lavoro, io ho visto scene come si vedono nei film, gente che viene letteralmente accompagnata fuori con la scatola di cartone, ti chiamano a fine turno perché devi essere produttivo fino all'ultimo giorno che ti hanno pagato e ti accompagnano fuori e non puoi nemmeno salutare i colleghi. Noi siamo abituati ai rapporti umani, non è solo questione di individualismo come lo intendiamo noi, lì è questione di sopravvivere, mors tua vita mea. Io l'ho visto anche all'università. Per esempio: lì esiste una legge per cui a parità di curriculum l'impresa (e l'università è un'impresa) deve assumere il candidato canadese. In un ambiente intellettuale è difficile stabilire chi ha letto e capito più libri per cui, se vogliono, prendono sempre il canadese. Io mi ricordo di una volta (lì rimasi veramente scioccata!) in cui il professore cercava un assistente per filosofia antica che conoscesse latino e greco. Io mi sentivo a posto, ho fatto la domanda, mandato il curriculum e infatti il professore mi rispose "Tu sei la migliore, però il posto è già assegnato a un canadese" e me l'ha scritto! Non è che me l'ha detto! Sembra la società della meritocrazia, ma non lo é davvero. Il posto può essere assegnato per tanti motivi, può essere lo studente di un professore a cui bisogna dare una borsa, può essere il figlio di, può essere tutto o semplicemente che quello è canadese e il professore non si vuole rompere le scatole perché l'impresa deve dimostrare al governo che è stato fatto un bando di concorso pubblico, che hanno risposto delle persone e che nessun canadese era adeguato per quel lavoro. Per cui può succedere semplicemente che l'impresa non abbia voglia di confondersi. Ho conosciuto italiani che sono stati rifiutati per questo, magari inizialmente accettati, fatti partire dall’Italia, fatti lavorare anche 6 mesi, ma poi interviene il governo che dice "Perché questa persona e non un'altra?" E tra l'altro con i videogames è finita proprio in questo modo perché periodicamente esistono crisi nei Paesi capitalisti e gli italocanadesi si oppongono a che tu faccia le traduzioni, solo che loro si sono dimenticati come si dice spazzatura e scrivono GARBIGIO (da garbage) ma quello è italocanadese e prende il posto mio anche se l'italiano non lo sa più. E il governo che ne sa? Quindi se nelle traduzioni trovi scritto garbigio, non l'ho scritto io. 

Per circa 5 anni ho insegnato anche italiano per il YMCA (proprio quello della canzone) e per il Consolato italiano. Per quest'ultimo, ho avuto un gruppo di persone che parlavano italiano veramente bene, per cui gli ho detto "ragazzi, basta con questo 'vorrei, gradirei del formaggio'. Vediamo l'italiano vero, quello parlato dalla gente, le tradizioni vere, non quelle che sono scritte nei libri, quello che la gente fa e faceva." Per cui, ero venuta in Italia e m'avevi portato il libro di interviste che tu ed altri avete fatto per conto della CGIL VALDISIEVE - "NOVE PER L'8 MARZO" (ndr - è un libro di interviste fatte dai Biografi di Comunità ad ex-operaie del territorio in occasione della Festa della donna nel 2015) e io l'avevo letto e m'era piaciuto per cui l'ho portato in classe e abbiamo letto alcuni racconti. E' stato difficile, ma con quello ho fatto tutte le lezioni di un semestre! C'erano parole che neanche io conoscevo, tipo l'erba sala, e siccome lì in classe tutti hanno una specie di computer minimo, mentre ero lì che dicevo "questa parola non la conosco nemmeno io" loro avevano già fatto 25 ricerche! L'abbiamo usato molto ed è stato molto apprezzato da tutti.

Poi alla fine l'ho avuto il posto all'università! Però è stata veramente dura e frustrante, non è così facile, per niente e una volta che c'entri ti scontri con un mondo che non pensi. Qui uno parla di baronato, di impossibilità di lavorare correttamente e bene e non è che sia diverso negli altri posti, magari è diverso per altri motivi; io alla fine, gli ultimi 2 anni ho lavorato all'università come docente, pur continuando a lavorare alla mia ricerca e ho trovato un'ignoranza che mai avrei immaginato; insegnavo logica formale, in teoria dovrebbe essere la logica aristotelica, che io ho studiato, ma per loro la logica aristotelica è troppo difficile (lo dicono loro, eh, non è che glielo dico io) per loro Aristotele è troppo complesso perché è troppo astratto; in Nord America il problema è che tutto quello che è astratto davvero non può essere capito, è un'altra mentalità, non serve. La metafisica, per fare cosa? Le domande a cui bisogna rispondere sempre sono: 

why should I care? Perché mi dovrebbe interessare, a cosa mi serve? E come lo posso utilizzare? Cioè come posso ricevere io qualcosa da quello che sto facendo (se no, garbigio!). La mia ricerca infatti, è passata perché son riuscita a farla passare con un professore che non aveva capito che cosa volessi fare. Perché infatti, dopo due anni che fai la ricerca, devi fare un esame e in questo esame loro devono capire perché all'università deve importare e che cosa l'università può avere dalla tua ricerca. Se la tua ricerca non serve, tu sei garbigio e te ne torni al Paese tuo. Infatti lì mi hanno bocciata e il professore che mi aveva accettato ha detto "Io non avevo capito che era questo, scusate!" E ho dovuto cambiare la sistemazione nell'arco di un mese, perché mi avevano tolto il visto, quindi sono stata clandestina per un mese anch'io e quello è stato il periodo in cui ho lavorato alla cassa del supermercato prendendomi tutte le ventate alla schiena e di notte lavoravo alla ricerca tanto con la tosse non potevo dormire. Davvero non è stato facile. 

Quindi ho insegnato questa logica proposizionale. 

In Quebec la scuola è strutturata in primaria e secondaria che arriva fino a 17 anni, poi puoi scegliere se andare a lavorare o fare un anno di CEGEP che è un anno preparatorio all'università in cui scegli se prendere un indirizzo scientifico o letterario; in questo anno preparatorio loro fanno filosofia, storia e poi dipende dagli studi fatti... è un post diploma ma non una laurea, mi pare che qualcosa del genere ci sia anche da noi con il liceo artistico, ma non mi ricordo. Il livello più alto è comunque il dottorato. Dopo devi andare a lavorare.

Ho sentito cose... da rabbrividire. Ad un esame di macroeconomia, il professore stava spiegando la differenza tra l'efficienza e l'uguaglianza, uno studente di dottorato (quindi il grado più alto) alza la mano e chiede "perché i poveri non lavorano di più, così non sono più poveri?" Il professore è impallidito, mi ha guardato perché ero l'unica europea che sorrideva. Il professore gli ha detto una frase che lì per lì ho pensato come gli è venuta questa frase, ma poi quando prima di insegnare hanno fatto il training anche a me mi hanno detto che sono frasi che devi dire, ed era "E' una teoria molto interessante, potremmo discuterne. E' una buona domanda, la situazione è un po' più complessa ma ne discuteremo se avremo tempo in futuro."

Io insegnavo a quelli del primo anno. Intanto sono arrivata dura e pura: non siamo amici, non mi date del tu perché non ci conosciamo, io i ritardi non li accetto, se non sapete le cose vi boccio, se vedo che bocciate vi denuncio all'università. Sono entrata all'europea... la metà della classe se ne è andata, ha abbandonato il corso dopo 20 minuti. Alla fine delle 3 ore viene uno studente e mi fa: "dunque, gli avvocati di mio padre una come te l'hanno già denunciata. Io voglio A come voto perché ho bisogno di avere tutte A, problemi?" Il papà aveva già l'azienda e al figlio ci voleva il pezzo di carta. E io gli ho detto "Guarda, io vengo dalla Sicilia, che avrò paura di te?" Gli ho dato A. Il ragazzo se la meritava e gli ho dato A per davvero. 

Lì ci sono 5 università, questa era la seconda migliore, la prima migliore è la McGills, che è anglofona ed è una delle 20 migliori al mondo. Alla mia parlavamo sia inglese che francese, poi per la ricerca ho dovuto imparare anche lo spagnolo, però il Canada è bilingue, per quanto il Quebec cerchi di privilegiare il francese, ma i testi sono quasi tutti in inglese, per cui bisogna districarsi con entrambe. Comunque una volta tornata in Italia, anche se da poco, mi pare di capire che il livello culturale delle università si sia molto abbassato anche qui. Temo siano finiti i tempi in cui gli esami erano cosa seria e ti bocciavano facilmente. Temo che la generazione dei neoventenni sia poco “vispa”, poco incline a fare la gavetta tipo lavorare di notte per pagare l’affitto e studiare di giorno per laurearsi il prima possibile ed andare a lavorare davvero... Ma forse sono io che ormai son canadese da questo punto di vista!

Ma ora basta parlare di scuola.

E' vero che l'individualismo in Canada è molto importante, però esistono anche le comunità dei vari immigrati: c'è il quartiere italiano dove ci sono gli italocanadesi. E' una comunità forte per gli italiani che restano qualche mese; gli italiani che restano lì, come me per diversi anni, sono piuttosto integrati e non è che fanno capo alla comunità, tipo andare in punti di ritrovo...no; la comunità messicana è abbastanza unita, anche loro hanno qualche problema da risolvere, poi ogni nazione ha il suo gruppo di ritrovo: I canadesi stessi sono divisi tra di loro in anglofoni e francofoni. I 2 gruppi sono questi per cui non vanno molto d'accordo. Per esempio, quando hanno eletto il Primo Ministro della Regione, Pauline Marois, una francofona e separatista che vorrebbe che il Canada diventasse indipendente (una fazione piccola ma molto attiva), c'è stato un attentato per cui un anglofono le ha sparato, ma non l'ha presa, gridando "Gli Inglesi si sveglino!" E lì tutti hanno avuto paura perché ci sono sempre tensioni tra questi 2 gruppi. I francofoni sono per mantenere la lingua e, un po' come succede in Trentino da noi col tedesco, tutto deve essere in francese. Per esempio lo Stop del cartello stradale è scritto Arrêt; c'è stato un ristorante italiano che ha dovuto cambiare tutta l'insegna perché si chiamava Buonanotte e l'hanno dovuto chiamare Bonnenuit. Così il menù. E noi lì gli chiedevamo "Ma la pasta alla puttanesca, come la traduci?" Il problema si è posto con tutte le lingue. Tacos, come lo traduci? C'è pure un ufficio preposto a questo che è riconosciuto ridicolo dai francesi stessi .

Lì funziona che più lavori più sei accettato socialmente, anche se alla fine di questa accettazione te ne fai poco perché stai a casa dopo aver lavorato 12-16 ore. A volte, spesso, si lavorava anche il sabato e la domenica, altre volte ci prendevamo libero il pomeriggio del sabato per andare al cinema, ma questo era tutto; perché poi ci sono i compiti da correggere, le traduzioni da fare, le lezioni da preparare, la ricerca da scrivere, i libri da leggere per la ricerca, il prossimo viaggio da organizzare e poi, quando le cose hanno iniziato a funzionare, ho ricominciato a lavorare come giornalista, quindi mi si erano accavallati 4 lavori e lì li accetti tutti, perché non sai mai quanto possono durare e come possono evolvere le cose. Poi, sinceramente, mi piaceva essere occupata e lavorare. Imparavo cose diverse, cose nuove, era stimolante. Mi sono fidanzata con il mio coinquilino (perché se ti dice bene trovi il coinquilino figo, altrimenti single o zitella), gli amici sono quelli del lavoro, ogni tanto la sera abbiamo fatto qualche cena, ma sei stanco, non hai tempo, alla fine non è che uscivamo tanto. Non è che uno ha paura di uscire per la delinquenza della grande città, io non ho mai avuto paura a girare a qualunque ora del giorno o della notte, mai mai, scippi non ne ho mai visti, la delinquenza c'è ma è diversa, furti nelle case sì; a mio fratello hanno svaligiato casa e questo capita. Quando sono arrivata io era in corso una guerra tra gang, però è diversa la criminalità perché da questo punto di vista sono indietro rispetto a noi. Quando sono arrivata pareva di stare in Italia negli anni '70. Cioè al capo della mafia (quello a cui hanno fatto la bara d'oro che abbiamo visto sui giornali) gli hanno sparato a casa che è un simbolo mafioso abbastanza importante, oppure gente buttata nel fiume con i piedi di piombo; ora, da noi, queste cose non si vedono più e quando sono arrivata io c'era la fine di questa guerra, gruppi di neri da una parte e mafiosi italiani dall'altra; il padre di un mio amico nero è morto così, gli hanno sparato mentre era nel negozio uccidendo lui e un altro; il figlio ha sempre detto che era nel posto sbagliato al momento sbagliato, certo tu non è che vai a chiedere che ruolo avesse. Quindi sono indietro su questo perché ormai da noi certe cose si decidono a tavolino, al telefono; se avessero ora le conoscenze che abbiamo in Italia sulla mafia, arresterebbero il fenomeno. Mi ricordo di aver seguito tutto un processo, che è durato circa 3 anni, ad un mafioso, (chiaramente era un mafioso) italocanadese che aveva in mano tutte le infrastrutture del Quebec e questo, da intercettazioni telefoniche, dice chiaramente in dialetto, che va risolto il problema di tizio facendolo mangiare con i pesci. E' chiara la cosa, no? Al processo, il giudice, che era una donna, gli chiese "Che cosa voleva intendere con questa frase?". E quello ha risposto "Ma io scherzavo!" E' uscito. Il tizio dei pesci è scomparso anzi "partito" e la cosa è finita lì. Loro sono veramente negli anni '70, potrebbero risolvere il problema della mafia e tutti i problemi criminali ora, perché la criminalità sta cominciando ora ad organizzarsi con gli agganci politici. Il primo anno che ero lì, il Sindaco di Montreal è stato accusato di essere corrotto e lui si è dimesso subito, il secondo pure è stato inquisito e si è dimesso pure lui e lui era non colpevole, ma si è dimesso subito lo stesso, e da lì sono iniziate tutta una serie di inchieste. 

Quindi per quel che riguarda la sicurezza non ho mai avuto paura, solo una volta sono venuti a casa a intimidirmi ma questo per la ricerca che facevo, sulla transizione democratica, intimandomi di smettere di parlare, di pubblicare. Per dire io stavo facendo più o meno lo stesso tipo di ricerca di Regeni, quando è successo il suo omicidio io stavo finendo la mia e per me è chiaro quello che può essere successo. Per di più mi occupavo dello stesso soggetto trattato da Gabriele Del Grande (che per lavoro ho conosciuto), insomma, non é un tipo di ricerca che si faccia su google e che non abbia proprio rischi.

Quello che invece ho visto, da giornalista, nelle notizie che passavano, è stato la gente che sclerava, gente che usciva di casa con il martello e uccideva i primi 4 che passavano, ma per me è un problema sociale, non di delinquenza. Quindi di delinquenza davvero lì direi che non ce n’é.

Non è che mi veniva di dire in Italia però è meglio, diciamo che stare 6 anni in un posto diverso dal tuo, vuol dire che per mentalità un minimo ti ci puoi adattare, perché a stare in un posto dove per 7 mesi l'anno c'è l'inverno che arriva a -30, un anno è arrivato a -50, esci solo per lavorare, la vita è lavoro e se un minimo non sei affine non ci puoi stare 6 anni, per alcune cose quindi per me è meglio il Canada, ma tutto dipende da come una persona è fatta. 

Vivere a -30 gradi, ho scoperto quando sono andata a vivere lì, che comporta tutta una serie di cambiamenti di vita drastici. Prima di tutto vivere con una media di -30 gradi per tre mesi circa, ma l'inverno ne dura circa 6 o 7, significa non andare a fare passeggiate, che non è una cosa proprio da niente. Per esempio, per "andare" a fare la spesa si chiama o si manda una @mail; difficilmente si va a fare la spesa, con la neve che c'è sempre o con lo Slush che è neve mista a fango. Meno 30 rende impossibile qualunque azione quotidiana qui considerata normale: coprirsi tutto fuorché gli occhi, naso, orecchie, tutto quello che è un po' più pronunciato si congela, se uno esce senza essere completamente avvolto almeno in un passamontagna si ha la stessa sensazione di quando si mangia un gelato troppo velocemente per cui fa male tra gli occhi e la prima cosa che si nota sulla porta di casa è che il respiro viene bloccato, ti manca subito l'aria, e quello è il freddo. Quindi, per uscire bisogna coprirsi oltremisura, mettersi le scarpe chiodate, o dei tacchetti aggiuntivi alle scarpe che, anche se non bellissimi, sono necessari altrimenti scivoli, non correre ma andare quanto più velocemente possibile, senza fermarsi e senza scivolare, alla prima fermata dell'autobus che ti porta quanto più velocemente vicino al negozio in cui fare la spesa e anche quella la devi fare veloce perché sei bardato per -40 e dentro al negozio sono +35. Altrettanto velocemente devi tornare a casa perché nel frattempo la spesa ti si congela tutta! Non c'è il problema di scongelare i prodotti congelati ma quello opposto: te compri il latte, arrivi a casa e non lo puoi versare nel pentolino, cosa che mi ha sconvolto la prima volta! Quindi vuol dire che lo fai proprio quando non puoi fare a meno perché se no mandi una mail e acquisti online e te lo fai portare a casa da quei poveri disgraziati che fanno questo lavoro. Non si può quindi uscire, fare una passeggiata o andare al cinema; diventa selettivo anche la scelta del film perché magari ce n'è uno che ti piace però è lontano dalla fermata dell'autobus e non ci vai. Ci sono zone della città che non vedi per mesi: ce n'è una a Sud di Montreal che è bellissima ma è più fredda ed è tutta in discesa e quindi non ci vai spesso perché rischi di fartela con la slitta, io vedevo alcuni che si divertivano a venire a scuola con gli sci, facevano sci di fondo all'università, per me è folle ma lo fanno. Quindi, ricapitolando, uscire il meno possibile, fare quello che si può e si deve per come lo si può. Poi, della vitamina D ne abbiamo bisogno tutti e lì vuol dire lampade! Io il primo anno ho detto "figurati se io vado a farmi le lampade", ma se non lo fai rischi la depressione invernale, dopo la prima volta cerchi di non prenderla più, perché non è proprio bella e ce l'hai tutti gli anni! Infatti moltissime grosse aziende nel loro building... struttura, hanno un piano dove c'è la palestra, la sauna e le lampade e non è che lo fanno perché sono avanti, è una necessità vera e propria; i dipendenti hanno uno sconto, non è tutto gratis ovviamente, le migliori hanno anche i massaggi e fa tutto parte del pacchetto-depressione! Per comprare un vestito, molti lo comprano online oppure vai nella città sotterranea. Arrivi ad una stazione metro, tipo la McGills, e non esci mai fuori, ci sono centri commerciali per chilometri e chilometri sottoterra, in alcuni ci sono anche supermercati. Anche questo è un po' folle. I vestiti e gli scarponi sono termici, quelli apposta, garantiti per -30 forse qui si trovano per andare a sciare, ci sono body, magliettine, tute ma la strategia è sempre quella degli strati perché l'escursione termica è pazzesca; in tutte le case e negli uffici ci sono +30 gradi e si vive in maglietta. Da un punto di vista di obrobrio ecologico mi sembra pazzesco, ma è così. Quindi, anche in metro è così. Una volta mi ricordo che a Montreal, era finito l'inverno e si stava scongelando, come sempre si ritrovavano le cacche dei cani congelate di qualche mese ed è stato ritrovato un uomo morto in una fontana, perché se lì bevi e ti siedi magari ti addormenti, di sicuro ti ritrovano morto.

Per dire, una volta, la cognata di Silvio (la sorella della moglie) ha portato il bambino a fare una passeggiata, l'ha vestito tutto per bene, ma le è rimasta fuori una gota. Ovviamente è andata in metropolitana, non è che vai a passeggio, come ho detto, quindi il bambino fuori sarà rimasto non più di 6-7 minuti ed ha avuto una gota congelata. L'hanno portato dal pediatra il quale ha detto "va beh, si è congelata, cade un pezzo di carne poi tra un annetto si rifarà, non è niente". Io sono rimasta sconvolta e mia madre pure. Per loro era normale. Sono sicura che il bambino non sia rimasto tanto fuori perché con queste temperature il governo dà sempre delle indicazioni su quando uscire, quanto etc. che è uno dei motivi per cui si dice che i canadesi sono tanto educati. Lo sono, davvero, hanno un senso civico importante, ma è davvero necessario: quando noi italiani restiamo scioccati dal fatto che si mettono in fila ad aspettare l'autobus e nessuno prova a passare avanti, il primo che è arrivato è il primo a salire è davvero necessario che sia così perché non si può restare (per il governo) più di 10 minuti fuori, te lo sconsigliano quando le temperature scendono così; per cui il primo che è arrivato e che sta aspettando da magari 8 minuti è bene che entri subito, no che l'ultimo faccia Zorro e salga per primo. Quindi il senso di educazione civica, la gentilezza che hanno è funzionale a un tipo di vita, al risparmio di tempo. 

Anche la ricerca di una casa è semplice, si va a stanze e mezzo dove per mezzo si intende il bagno. Quasi tutti, quando si arriva, me compresa, vanno in un quartiere che si chiama "cote des neige" che è il quartiere degli immigrati appena arrivati. Lì costano un po' meno, poi ogni quartiere ha il suo pro e contro, quello è dove c'era l'università per cui ho lavorato. Il problema di quel quartiere sono le pulci del letto, lì è sicuro che ci sono o ci sono state; per legge dovrebbero anche dirlo se la casa ha avuto dei problemi ma non lo dicono mai, se no non l'affitterebbero. Lì è normale. Le case sono infestata dalle pulci. Come si uccidono? Con la pulizia. L'unico modo per uccidere le pulci è tenere la casa pulita. E non ci arriva nessuno. Io non le ho mai avute ma a casa di amici ci sono state, anche nella metro le puoi prendere. Il modo migliore dopo la pulizia è mettere tutto a 90 gradi (ma è impossibile perché le lavatrici usano l'acqua calda del rubinetto) oppure mettere tutti i panni fuori, le lasci lì una notte e le pulci muoiono. Ero l'artista della varichina, la mia missione è stata pulire case e forni. Essendo una città di passaggio nessuno puliva. La prima vasca che ho visto ho detto, qui fanno le vasche di colori strani, bastava passare una spugna. Una coinquilina se ne è andata via da casa senza preavviso, dicendomi "te, italiana, fissata con la pulizia sei impossibile da vivere". Ora...magari ha ragione lei, però se una invita gli amici che dopo un’ora son briachi fradici e vomitano ovunque, poi magari, il giorno dopo potrebbe anche aiutare a pulire (non dico pulire lei, ma magari collaborare).

Un prezzo base per un quartiere così, per un monolocale, interrato (ce ne sono tanti ma ti vuoi proprio male, perché non vedi la luce per 12 mesi) costava indicativamente sui 300 dollari al mese incluso tutto, elettricità, riscaldamento etc, quando sono andata via lo stesso arrivava facilmente ai 750 dollari. Quando poi sono traslocata al quartiere che mi piaceva di più, quello francese che si chiama Plateau, in un locale che era un 6 e mezzo, cioè lo condividevo con altre 4 persone, una camera (accanto a quella di Kris, che poi è diventato il mio compagno) pagavo 425. L'ultima casa che abbiamo affittato io e lui, nel quartiere subito accanto, nemmeno il più caro, era un monolocale e spendevamo 850 dollari. C'è stato nel tempo una maggiore richiesta, maggiore immigrazione ma anche il raddoppio del costo della vita. L'alimentazione è sempre stata abbastanza cara, anche perché deve venire tutta da altrove, tranne i frutti di bosco d'estate, poi cosa coltivi? Tre pomodori li paghi facilmente 5 dollari, quando sono arrivata, l'ultima volta, dicembre 2016, un'insalata l'ho pagata 10 dollari! 

Infatti molti mangiano McDonald o Just-eat che te lo portano, anche; dappertutto c'è un menù vegetariano e vegano, quindi nessuno ha problemi di scelta. Il Canada, Montreal, è un paese giovane, sotto tutti i punti di vista, gli anziani lì quando vanno in pensione vanno a Miami. Anch'io i Caraibi li ho visti tutti perché una settimana l'anno vai per il Messico, Cuba, Santo Domingo; una settimana costa 450 dollari, tutto incluso, aereo, albergo, mangiare quindi almeno una settimana vai a riscaldarti le ossa. E' stato l'unico modo per togliere il bluewinter, la depressione invernale, che è brutta. Un anno fu così freddo che si ruppero i tubi dell’acqua e delle fogne delle strade messi dai mafiosi, si ghiacciarono e si ruppero per cui la strada si è aperta e i topi sono usciti e sono andati a infilarsi nelle case d'intorno. Ovviamente fra queste case c’era la mia. Me lo ricordo benissimo quel momento. Erano le 6 di domenica mattina. Io stavo già lavorando da un’oretta almeno alla ricerca. Dovevo riflettere su una questione spinosa e quindi mi sono preparata la tazza di caffé americano, ho preso una sigaretta (all’epoca fumavo) e sono uscita sul balcone per riflettere. Ad un certo punto vedo un fiume che passa sulla strada. Guardo meglio e vedo che la strada si sta aprendo nel mezzo. Poi il fiume di acqua diventa più scuro e si muove in tutte le direzioni. Oltre all’acqua, che già si stava gelando, usciva la fiumana di topi.

Io avevo un gatto, scemo, che invece di ammazzarli ci giocava e me li portava nel letto. Per dire la sanità: io ero già incinta e mi alzavo alle 4 del mattino per andare a fare la giornalista, tornavo alle 10.30; all'una dovevo andare all'università a insegnare per cui io, tra le 10.30 e l'una mi riposavo, perché poi dopo le 3 ore di scuola avevo le riunioni e poi un corso la sera in cui insegnavo italiano dalle 6 alle 9 per cui tornavo a casa alle 10 di sera e appena potevo mi riposavo. Un giorno torno dal lavoro, mi metto a letto, vestita, a un certo punto sento qualcosa tipo artigli del gatto sulla gamba, apro gli occhi e il gatto è accanto! Guardo le gambe e vedo un bozzo sotto i jeans, mi alzo, mi spoglio e vedo un topo enorme che mi stava salendo sulla gamba e che mi ha graffiato. Ora lì non esiste che telefoni e dici non posso venire, ma fortunatamente avevo un controllo all'ospedale il giorno dopo e ho detto "guardi ho avuto un topo a casa e mi ha graffiato la gamba" - "T'ha morso?" - No, ho detto. "eehh, allora tranquilla". Non mi hanno fatto un test, niente. La Sanità lì non è proprio il top.

Però, in Canada, è tutto molto chiaro, ti va bene? Oppure no? E' molto chiaro, te devi lavorare tutto il tempo, non hai una vita sociale non hai diritti lavorativi, se ti ammali fatti tuoi, la sanità la devi pagare e anche pagata spesso non è buona, l'università spesso non è buona e la paghi cara però è tutto molto chiaro. Qui è una lotta costante. Hai il clima che è buono, l'università che era ottima (almeno ai miei tempi), la sanità è eccellente, almeno in Toscana, fuori non ho esperienze e spero di non averne ma in Toscana sulla Sanità non ho dubbi, l'istruzione è senza dubbio migliore, ma il problema è che è una lotta continua, da un punto di vista oggettivo è più difficile organizzarsi in Italia. 

Quello che non mi ricordavo e che mi fa venire in mente che forse dovrei ripartire, è la furberia diffusa di cercare di fregarti in ogni modo. Per esempio, io e il mio compagno Kris siamo abituati a pagare le tasse con tanto piacere perché, intanto, quando si faceva il conto, era sempre lo Stato che ci rendeva dei soldi e poi perché sai che quelli sono servizi che se non paghi saranno sempre più di cattiva qualità, la mentalità è quella. Ora, Kris qua si è fatto impresa e ha preso la partita Iva; qualche giorno fa ci è arrivata una lettera con scritto che doveva pagare 300€ con scadenza ieri. Lui non si è fatto domande, ha preso e ha pagato, ha visto che era diretta a lui ed è andato a pagare subito, e io gli ho detto "boh, paga poi si vedrà". Poi ho telefonato al commercialista il quale mi ha detto "noo, niente, è che ci provano...è che ora su internet c'è il tuo nome come impresa". Ma questi mica dicono nulla, solo che hai da pagare 300€ entro ieri. E non abbiamo fatto discorsi, perché in Canada non esiste. A me per esempio, sempre in Canada, hanno fatto la multa, anzi 2, perché ho portato la spazzatura fuori mezz'ora prima. Si lascia infatti sul marciapiede ma dalle 5 alle 5.30, io dovevo andare a lavorare di sera e l'ho lasciata alle 4.30. Alle 4.35 mi hanno fatto la multa perché c'è l'omino che, suppongo, faccia anche la foto e scrive che eri vestita così, etc. ... e sono 200 dollari! Quel giorno io potevo non andare a lavorare e guadagnavo! In Italia c'è questa cosa della furberia alla quale non sono abituata. Un'altra cosa che mi è successa è che mi sono messa d'accordo con un negozio piccolo che mi doveva fornire del materiale e gli ho detto "guarda, ti pago tutte le volte che prendo il materiale, però tu te lo segni e mi fai una fattura unica". E così abbiamo fatto, io l'ho sempre pagato con la carta di credito canadese (per fortuna) e arrivata alla fine gli ho detto "Ok, non ho bisogno più di niente, fammi la fattura." Il proprietario mi fa: pagami! - Come? Ti ho sempre pagato! - E gli scontrini? - Gli scontrini non li hai fatti perché mi facevi la fattura alla fine, così hai detto te. - Dimostrami che mi hai pagato. Ci sono rimasta malissimo! Ho telefonato in Canada e anche loro non capivano perché mi servisse l'estratto conto (che tra l'altro costa 50 dollari) e col foglio in mano di Mastercard sono tornata dal venditore che fa "va beh, se me lo dici mi fiderò di te!" "No, guarda, ti stai fidando di un estratto di Mastercard." E questo è ancora arrabbiatissimo con me, convinto che non l'abbia pagato e che l'abbia fregato. Questa cosa italiana del fregare... Ecco questo è uno dei motivi per cui sono stata in Canada 6 anni e a Londra prima e a Dublino, in Francia etc etc. Cioè lavori ma non sprechi energie per difenderti da queste cose, la tua energia è convogliata sulla produzione, qui invece si fa veramente fatica. Pensi di lavorare solo 8 ore ma poi ti devi guardare 24 ore su 24. Ho dovuto chiamare in Canada, aspettare, cercare, vedere i 4 mesi di report, sono ore che avrei potuto passare in giro, organizzare una cena... praticamente in Italia lavoro sempre 16 ore ma sono pagata per due!

Altra cosa che avevo dimenticato e che in Canada non esiste, è che qualcuno faccia finta di lavorare. L’avevo dimenticato perché in Canada ti possono buttar fuori in 2 secondi, qui invece c'è parecchia gente che fa finta, che ci prova, quelli del cartellino e poi l'arroganza e l'ignoranza. In Italia sembrano sempre tutti arrabbiati e sono tutti pronti con le unghie ad attaccarti per qualunque cosa. In Canada non esiste, se tu sbagli, col sorriso ti dicono "hai sbagliato e mi paghi perché hai sbagliato, fine" ma non ti insultano, qui è una cosa che non si può, anche su internet, su facebook, gente che passa le ore a insultare, italiani che ce l'hanno a morte con la Boldrini, o con Renzi o con Salvini o con la Raggi. Ce l'hanno sempre con qualcuno e quindi ora capisco come sia nato un movimento astioso come i 5Stelle, che quando ero in Canada avevo difficoltà a spiegare agli studenti, a identificarne la causa; ora lo capisco, va canalizzata la rabbia, l'odio. Tu dici voglio solo lavorare, alla canadese, ma non puoi perché ogni pochino ce n'è una, è difficile. Non fosse per l'energia che si consuma per riparare ai danni della furbizia! 

Mi ero scordata tutto questo, ma è vero che sono tornata anche per nostalgia, del sole, del calore umano, non a caso sto alla Rufina dove se hai un problema è un problema di tutti e questo è anche un bene, la gente ti aiuta. Quando ho avuto il bambino malato, i vicini ci hanno portato da mangiare, in Canada puoi morire e non se ne accorge nessuno, un po' come a Londra. Questo mi mancava tantissimo, ne avevo abbastanza dell'ignoranza degli studenti, all'inizio può essere divertente poi quando li devi promuovere, no; quando perdi il posto per una scommessa o perché già assegnato a un canadese neppure. Anche lì è una lotta quotidiana ma molto più fredda e trasparente, quindi mi mancava il calore, il finire di lavorare alle 6 del pomeriggio (anche se poi non succede), mi mancava l'aperitivo, i momenti sociali; mi mancava anche una buona sanità e quindi abbiamo deciso di tornare perché, io aspettavo il bambino e ci siamo detti: 1) il lavoro che ho fatto finora non lo posso più fare, 2) insegnare, no perché come ricercatrice mi pagano un terzo di quello che prende un docente universitario e come tale prima di me ci sono tutti i canadesi; la ricerca era finita e pubblicata e non è stata facile perché qualche anno fa ho iniziato a parlare di ISIS prima che se ne parlasse e per farlo sono dovuta andare lì, in Tunisia e in Libia. Non è stato facile perché intanto l'università ti abbandona; a me hanno fatto firmare un foglio che qualunque cosa mi fosse successa loro non c'entravano nulla. Prima di partire volevo che l'università mi autorizzasse a dire che sono una ricercatrice canadese. Loro hanno detto: "manco per niente, fatti tuoi, sei pure italiana, ma che vuoi?" Me lo ricorderò sempre, il mio direttore di ricerca mi disse "Ma su Google non le trovi queste informazioni?" E io gli risposi "No, se no non si faceva la ricerca, vorrebbe dire che la ricerca l'hanno già fatta, no?" Son viaggi difficili da organizzare e da gestire. Durante il viaggio avevo tanta adrenalina che mi pareva di essere Indiana Jones. Il problema era quando si tornava, l'ultima volta mi ci sono voluti 4 mesi buoni per riprendermi dallo shock post-traumatico, perché è abbastanza rischioso, più o meno era lo stesso tipo di ricerca di Regeni, come ho detto, lui si occupava di Egitto che io ho sempre scartato perché è una situazione davvero complessa, diversa da tutto il resto del Magreb, un po' come l'Algeria, però l'Egitto mi sembrava troppo difficile, ha sempre fatto mondo a sé.

Io invece cercavo dei legami, che ci sono ma non si trovano facilmente; a me interessava vedere la trama delle relazioni che c'erano tra i vari Paesi tra cui l'Italia. A me è andata veramente bene 3 volte, anche 4, ma veramente bene! Una volta è stata a Montreal quando mi sono venuti a casa a dire "Donna, occupati della cucina". Erano le 10 di sera ed ero sola in casa, eravamo in 5 in quella casa quindi, trovarmi da sola vuol dire che lo sapevano. Si sono presentati, tanto lì le porte sono aperte, e mi hanno detto "Mariangela Tobbia? Te hai scritto... hai detto..." Io, la prima cosa che ho pensato è stata "Sono fans! Ci ho i fans!". Quello che mi ha sempre salvato, che poi ho letto anche in Terzani, è il sorriso, la calma, che magari dentro non hai però la devi mostrare e ho detto "prego, accomodatevi, ditemi..." Insomma, hanno iniziato con le intimidazioni e dopo un'ora e mezzo mi hanno consigliato di usare un nick-name, di cambiare nome, di darmi alla cucina, erano quasi affezionati. Comunque, tutto sommato, mai ho pensato che mi avrebbero fatto qualcosa, un avvertimento e fine. In quel caso avevo pubblicato che per trovare Ben Alì, che era scomparso, bisognava seguire i soldi e questi portavano a Montreal e infatti era lì, non è che ci voleva un genio a dirlo! Un'altra volta mi è successo in Sicilia, a Palermo. C'era una dimostrazione davanti al consolato tunisino e io ero lì con la telecamera e riprendevo tutto. E c'erano 3 tizi che mi guardavano, io stavo parlando con un ribelle tunisino che aveva il suo computer e questi 3 si sono avvicinati e mi hanno detto "tu hai fatto troppe domande e ora prendi la tua telecamera e te ne vai" e a lui hanno preso il computer e glielo hanno sfasciato. E io ho preso la mia telecamera e me ne sono andata. 

In Tunisia mi è successo altre due volte ma lì è stato veramente pericoloso. A Tunisi, c'era un sit-in che durava da alcune settimane perché avevano ucciso un politico comunista (i comunisti fanno sempre una brutta fine in tutto il mondo!) e quindi c'era un bel movimento e io ero lì con la telecamera e stavo riprendendo l'esercito (erano tutti lì con il mitra e che fai, non li ripigli?). Non hanno apprezzato, si sono avvicinati e hanno iniziato a urlarmi. Ora, io, non mi sono messa a studiare l'arabo, è difficile, ha tanti dialetti, e io, hai voglia a sorridere, cercavo di essere il più tranquilla possibile, gli dicevo che non capivo, di parlarmi in francese ma loro si rifiutavano (considera che quasi tutti i tunisini lo parlano) finché è arrivato uno del movimento e ha iniziato a parlare in arabo e io ho capito solo le parole "journaliste internationale". E io ho detto "vai, ora mi chiedono il tesserino ed è finita!" Insomma, non so come ha fatto ma li ha convinti, loro mi hanno cancellato tutti i filmati e le foto che avevo fatto dopo di che mi hanno scortata dentro una conferenza stampa di deputati francesi tra i quali Macron, quello che te lo posso già dire, sarà il prossimo presidente e il porta voce di Melanchon (che uomo favoloso). Quindi io sono arrivata lì e mi dicevo "sono una giornalista, sono una giornalista", erano tutti in fila a fare domande, io ero l'ultima, ho sentito più o meno che domande facevano, ne ho fatta una simile e mi sono salvata in questo modo. Ho un sacco di filmato di Macron, bello come il sole! Diciamo che mi è andata abbastanza bene perché se l'esercito mi avesse arrestato non so che fine avrei fatto. 

Ancora meglio mi è andata dopo, quando sono andata a vedere come funzionasse l'organizzazione delle barche che arrivano qui. Sono andata in un paesino abbastanza sperduto del sud al confine tra Tunisia e Libia e lì ci sono i pirati, quelli veri. Io volevo vedere come funzionava l'organizzazione della mafia per portare i migranti che arrivano da noi. E' successo che una mattina mi sono alzata per andare a prendere un croissant e la pasticceria era sì aperta, ma chiusa da dentro. Al che noto che le persone che sono dentro non stanno parlando in modo amichevole, ma ce n'è uno che sta tenendo il coltello alla gola di un altro. Decido che non mi va più il cornetto e tiro fuori la telecamera. Insomma, nell'arco di 5 minuti si è riempita la piazza e tutti volevano che questo con il coltello uccidesse quello minacciato. Ovviamente è arrivato l'esercito e i Servizi Segreti. Perché quello è un posto piccolo ma importante perché è da dove partono le barche. Io ero in quell'occasione con una ragazza tedesca che lavora per una ONG tedesca che aiuta i migranti e con il nostro traduttore (quando vai lì ti devi fidare di un traduttore). La ragazza tedesca mi fa "guarda, copriti, non ti far vedere che stai riprendendo". A un certo punto arriva uno correndo e urlando verso di noi. Il traduttore ci dice "Adesso voi giratevi e correte! Arriverà una macchina laggiù, salite di corsa e non dite niente" E lì non hai tempo di riflettere, o ti fidi o speri che il tuo sesto senso ti salvi. Quindi abbiamo corso e infatti ho le riprese tutte mosse. Entrate in macchina, l'autista in francese ci dice "Non vi preoccupate, vi porto lontane, i Servizi Segreti vi avevano viste, queste sono informazioni che non devono uscire per cui voi non avete visto niente." E noi non sapevamo chi fosse questo qui, boh! Noi eravamo due femmine e questi erano tutti armati. Ci ha portate in un campo di profughi chiamato Sciuscià, abbandonato dall'Onu, nel deserto libico, dove vivono ancora una ottantina di persone in teoria in attesa di documenti. Un posto di stallo, l'Onu l'ha chiuso. Per loro i rapporti sono finiti, quelli rimasti lì non hanno diritto ai documenti... e anche lì si aprirebbe una parentesi, c'è gente del Ruanda, gente che ne ha viste di tutti i colori, non hanno diritto per motivi vari e quindi sono lì che aspettano. L'Onu gli dà 1500€ per andare avanti ancora un po' e 1500€ è diventato magicamente il prezzo della traversata e quindi qualcuno parte e qualcuno no. Da lì poi il giorno dopo l'autista ci ha riportate all'albergo dove siamo rimaste ancora una settimana. Passare un mese così, ti cambia. Ci hanno portato anche in un posto abbandonato dove c'era uno che stava morendo e io ho detto "ma quest'uomo ha bisogno di un ospedale", ma lui non ci poteva andare perché non è riconosciuto da nessuno Stato, gente che sta in stallo. C'è gente che non è riconosciuta e se si ammala, muore. C'era una bambina di 4-5 anni che aveva un braccio rotto da una settimana che nemmeno si lamentava, glielo avevano fermato in qualche modo e nulla, si risalderà in questo modo. Quindi, tornare da lì al Canada dove il massimo della criminalità è la mafia degli anni '70 oppure lo studente che ti dice "a me mi dai A", mi ci è voluto un po' di tempo, 3-4 mesi almeno per riprendermi.

Magari è per questo che ho pubblicato due libri lì, aggratis. Uno è un nuovo metodo per insegnare l'italiano. In quegli anni in cui ho insegnato italiano, tutti mi chiedevano "io voglio andare in Italia, parto tra 3 settimane e voglio parlare italiano ma non voglio perdere tempo a studiare la grammatica." Ci siamo messi io ed un collega e abbiamo studiato un metodo, che ora funziona molto bene, per permettere alla gente praticamente di parlare italiano senza saperlo. Questa pubblicazione l'ho fatta per YMCA, ero molto legata a questo progetto e a YMCA per cui gliel'ho regalato, mi hanno dato 300 dollari roba del genere. Poi il capo di YMCA è cambiato, è arrivato uno tipo Marchionne e questo metodo lo sta vendendo in tutto il Canada, è diventato davvero un metodo importante. Il secondo che ho pubblicato è un altro manuale su come capire la transizione di un governo ma praticamente, cioè cosa succede in pratica: puoi perdere il lavoro, puoi morire... Insomma un manuale pratico. Quindi io ho pubblicato due libri che sono due manuali, cosa che in Italia mai avrei pensato di fare, pare brutto fare un manuale qui; invece in Canada hanno proprio una passione per il manuale. Neanche sul secondo ho i diritti perché vanno all'università, perché è un manuale estratto dal mio progetto tesi, pubblicato dall'università e che lo sta usando in scienze politiche. Il primo progetto, quello delle memorie nelle seconde generazioni fondamentalmente non interessava perché ormai sono cose andate e successe, mentre il secondo progetto includeva la parola "terrorismo" e di questo hanno paura anche loro. Infatti, mentre ero lì sono stata invitata, sempre sul concetto del pratico, a diverse tavole rotonde, in radio, per rispondere alle domande dei cittadini, per cercare di spiegare un po' e tutti avevano il terrore del può succedere anche qui. E mi facevano domande tipo "quando sarà la prossima, dove sarà, quanti morti ci saranno..." Per cui tutte le volte dovevo dire "la domanda è molto interessante, ma non posso dare una risposta certa" e loro erano innervositi. Sembrava reticenza se non incompetenza! E quando mi dicevano "Potrebbe succedere a Montreal?" E io rispondevo "Potrebbe succedere per tutta una serie di motivi, perché i grulli sono ovunque. Potrebbe essere che qui avete ospitato un parte della famiglia di Ben Alì, potrebbe essere un tunisino, potrebbe essere una nuova strategia che colpisce dove meno te l’aspetti... chi può dirlo?" E la domanda successiva era "In quale quartiere?" Non c'è solo un quartiere misto, Montreal è tutta mista, può succedere, ovunque, di tutto. Le domande erano sempre queste, loro vogliono sapere in pratica cosa succede. Poi, tutto il resto, perché, come, quando nasce, non è capito. "Why should I care? Devo andare a lavorare quel giorno? Dimmi quale."

Una buona parte del mio progetto iniziale l'ho dovuto cambiare proprio perché era troppo astratto.

La chiusura di un progetto si svolge così: se si tratta di conferenze, a volte si pubblica un articolo e finisce così. Per la tesi si fa una discussione di tesi (che nel mio caso è stata un'angoscia) e poi se tutto va bene, si pubblica, se tutto va male ti rimandano a casa e può succedere che te hai lavorato 6 anni e poi ti dicono che non va bene. 

Nel mio caso è stata complessa la cosa perché, io me ne sono resa conto dopo, loro non avevano mai letto una cosa del genere. Quello che normalmente uno studente fa è fare una tesi che qui si chiama compilativa, cioè immaginare qualcosa di originale da dei libri e io non ho fatto proprio questo. Io sono andata sul terreno e in filosofia se uno va sul terreno dove va? In Grecia, fa dei viaggi di testa. Una delle cose che io ho detto in questo testo è che c'è una soluzione ma per trovarla occorre andare a vedere le cause e alcune delle cause di alcuni complessi terroristici sono le colonie, per cui se si facesse che i francesi lasciassero tranquilli e pagassero dei debiti invece di riscuotere soldi e di mettere un dittatore, forse le cose si aggiusterebbero. Ho parlato del caso dell'Algeria, che per i francesi è una ferita molto, molto aperta anche se ancora non se ne parla; ho parlato della seconda guerra mondiale e di come i francesi spesso fossero collaborazionisti e di questo non se ne parla nelle scuole francesi, insomma di tutta una serie di cose che per loro sono tabù, parlando anche degli attentati di Charlie Ebdo etc. Quindi, in sede di discussione mi hanno mandato un politico francoalgerino e uno dei più grandi storici negazionisti della Seconda Guerra Mondiale.

Quando ho visto la commissione m'è preso male. Io ero in Italia e stavo aprendo il negozio, ho scritto l'ultima parte della tesi di notte tra un vomito e una colica gassosa del bambino e mi dicevo che quasi quasi era meglio abbandonare tutto. Poi alla fine sono andata e ho capito che il motivo per cui avevano chiamato questa gente è che il lavoro era serio e pensavano di pubblicarlo, quindi volevano gente competente per essere sicuri del valore del lavoro.

La discussione della tesi è durata 4-5 ore. Di passione! Erano tutti francesi, che hanno un modo di fare tutto diverso rispetto ai canadesi, sono un po' più come noi, più passionali, un canadese ti dice "non lo so." Io ho messo in pratica tutto quello che ho imparato lì: a tutto quello che mi dicevano rispondevo "è molto interessante, è estremamente interessante, ci avevo anche pensato, però potremmo, forse, se lei fosse d'accordo, guardarla anche da un altro punto di vista". In questo modo me la sono cavata con il negazionista perché non gli ho mai dato completamente torto ma nemmeno ragione perché era impossibile. Con il francoalgerino, invece, che conoscevo per essermici scontrata già un'altra volta, la discussione è stata molto più passionale, più latina. Mi ricordo che i canadesi (la commissione normalmente è formata da 4 persone, nel mio caso erano 7-8; poi era venuta gente a vedere) erano allibiti perché di solito funziona che uno si presenta dicendo"Buongiorno, mi scusi, io vorrei, se non disturbo troppo, dire qual è la mia idea, sicuramente ci ha ragione lei e io sono una merda". Per la discussione a momenti volavano libri! "Perché te devi andare a vedere davvero..." E' stata veramente bellissima, a parte i primi 20 minuti in cui ho tremato a vedere i mostri sacri, poi il resto del tempo è volato. E' stato estremamente interessante, è andata benissimo, infatti mi hanno dato l'Eccellenza che davvero non avevo mai sentito dire, non sapevo nemmeno esistesse.

E loro si sono pubblicati il manuale, i diritti sono dell'università, però, cosa che non succede quasi mai, mi hanno dato l'autorizzazione a ripubblicarlo, se io voglio... ora quando ci ho due minuti!

E quindi sono tornata definitivamente in Italia con il bambino e con il compagno di stanza! Dal punto di vista del lavoro non ha capito ancora come funziona. Lui è ingegnere informatico e in Canada ha lavorato per la sicurezza dello Stato, per delle banche. Lì funziona che a lui proponevano dei progetti che se erano interessanti per lui faceva un prezzo e lo pagavano. Ora, qui, non funziona proprio allo stesso modo. 

I bambini, per esempio, vengono dati subito all'asilo, la storia dell'inserimento in Canada non esiste, qui, prima di portarcelo 4 ore di fila, il bambino aveva 7 mesi. Lì devi andare a lavorare e ci vai. Hanno di buono che per un anno ti danno il 70% dello stipendio, però è visto molto male perché è come approfittarsi del sistema, per cui quando io sono rimasta incinta, ho lavorato fino a 8 mesi poi ho detto che stavo a casa e mi prendevo la maternità; hanno sgranato gli occhi perché non si fa, torni appena puoi. 

Viaggiando si cambia e ora ho difficoltà anche a ricordare l'italiano, tipo dico "prendo la doccia", invece di "faccio la doccia"; poi, per fortuna non c'è più Berlusconi, che di sentirmi dire "Italiana, bunga bunga" non ne potevo più. I lati brutti, quello dell'insulto facile, che non c'è pazienza, che non c'è comprensione, davvero non me l'aspettavo. Guarda l'altro giorno stavo venendo a lavorare e si è accostato uno e ha parcheggiato. Io gli ho detto "guarda, ora ci passo, però qui non puoi parcheggiare". Non ti dico gli insulti che mi sono presa, ma io gliel'ho detto tranquilla, per fargli evitare una multa! Di positivo ho trovato quello che conoscevo già, che ricordavo. Noi abbiamo avuto il bambino malato e le persone sono state tutte ultracomprensive, i vicini che ti aiutano; se io fossi stata in Canada sarei stata disperata, avrei preso l'aereo il giorno dopo; intanto siamo stati all'Ospedale Meyer quasi un mese e il Meyer è un'eccellenza mondiale davvero. Pensa, finché non ci hanno messo in isolamento, eravamo in una stanza con un lettino accanto a noi. Una notte è arrivato un bambino che aveva un virus e io, nel sonno, mi dicevo "ma perché mi mettono un bambino malato in stanza che già il mio è malato? Ah, già, siamo in ospedale." Perché è talmente fatto bene che non ti rendi conto di essere in ospedale: c'è il cane che passa per far giocare il bambino, i dottori vestiti da clown che passano 3 volte al giorno, se suoni vengono immediatamente... in Canada non è così. Ricordo una volta che avevo una sinusite e mi si era bloccato metà viso, all'università mi dicono vai dal dottore. Ci vado, questo mi guarda, mi fa alzare le braccia, e scrive Ictus in corso, dicendomi "vada all'ospedale e consegni questo." Io sono andata all'ospedale, ho consegnato il foglio. Mi hanno fatto aspettare 9 ore. Poi, per fortuna non era un ictus... Comunque, la sanità sì, qui è un'altra cosa.

Quello che consiglio a un giovane che vuol partire per un Paese straniero è che è bene riflettere molto se quel Paese possa rispondere in qualche modo al suo carattere. Il Paradiso non esiste, esiste un posto giusto per noi, ma magari no per qualcun altro, probabilmente mio fratello obietterebbe su tutto quello che ho detto del Canada perché è perfetto per lui! Quando sono arrivata sbalordita, raccontandogli di essere stata buttata fuori per una scommessa, lui non ha battuto ciglio. "Hai trovato un altro lavoro, sì?, quindi che problema c'è, arrabbiarsi è perdere tempo ed energia." In effetti, se devi lavorare 12 ore al giorno, per il resto stai tranquillo, ed effettivamente fanno così. Quindi il Paese giusto non esiste, esiste il Paese giusto per la persona. Per mio fratello è il Canada, per me no. La paura che io ho è che l'Italia non sia il Paese giusto per il mio compagno, per Kris, anche se lui viene da Marsiglia. In Canada lui ci stava bene, il motivo per cui lui è venuto via sono io che non ho voluto far nascere e crescere lì Julian. 

La prima cosa bella che Kris ha notato dell'Italia è stata la bellezza delle città e il treno. Lì non si usa il treno, anche la metro va da un posto all'altro ma della città. Quello che ha notato è che con 30€ in un'ora e mezzo siamo andati a Roma, l'abbiamo girata un po' e poi siamo ritornati e a lui è sembrata una figata. I loro treni vanno molto più piano, fai conto da Toronto a Montreal ci vogliono 2 giorni e col pullman 9 ore.

Quello che mi piacerebbe è che anche qui si applicasse il servizio civile sociale internazionale, che esiste, solo che è volontario, dovrebbe essere obbligatorio e per 3-6 mesi te ne vai a Timorest e vedi cos'è Timorest, in Africa, o anche a Lampedusa... Quando sono andata io a Lampedusa ho fatto di tutto per entrare in un Centro d'Accoglienza ma non c'è stato verso. Dice "no, te sei ricercatrice, poi scrivi, fai..." 

E' andata Angelina Jolie e l'hanno fatta entrare subito!

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